Urge educare alle relazioni

Dal 12 novembre 2025 per accedere ai principali siti porno in Italia servirà dimostrare la maggiore età tramite SPID, selfie e carte digitali. Una misura per proteggere i minori, ma il vero nodo resta culturale: pornografia, business miliardario e sfruttamento, educazione sentimentale distorta, tratta e degrado. Basteranno i filtri?


Dal 12 novembre 2025 entra in vigore una novità che molti saluteranno come un argine: per accedere ai principali siti pornografici sarà necessario dimostrare la maggiore età, passando attraverso sistemi di verifica dell’identità. Sarà una barriera algoritmica, una soglia digitale come ai tornelli della metro: documento, selfie in tempo reale, carta di credito o SPID. Un passaporto per il desiderio.

Un passo atteso, certo. Un passo civile, diremmo. Ma anche un passo che arriva tardi, in una stagione in cui milioni di adolescenti hanno già imparato a conoscere il corpo attraverso la grammatica distorta del consumo e non quella dell’incontro.

C’è del merito: lo Stato prova, finalmente, a difendere i piccoli dalla pornografia industriale. Non più solo ammonimenti e campagne, ma un portone chiuso. Eppure, per quanto necessario, questo portone rischia di essere una porta girevole. La rete insegna: ogni muro digitale genera un tunnel, ogni codice un trucco per aggirarlo.

E intanto, mentre controlliamo l’identità dei maggiorenni, non interroghiamo l’identità culturale che ci ha condotti qui. Perché la pornografia non è un incidente tecnologico: è un paradigma sociale. È diventata educazione sentimentale parallela, palestra affettiva tossica, alfabetizzazione erotica a costo zero e costo infinito.

E su questa fabbrica di desideri finti, si arricchiscono i nuovi magnati del sesso globale: piattaforme miliardarie, società registrate tra paradisi fiscali e anonime holding, siti che guadagnano su traffico, pubblicità e schiavitù dei pixel. Il porno, ci dicono, è “mercato del consenso”. Ma quanti consensi sono estorti? Quante storie di ragazze “consenzienti” che poi raccontano coercizioni, ricatti, povertà, grooming?

Accanto a loro, l’altra faccia intera della medaglia:

– la tratta delle persone velata da linee editoriali ed eufemismi

– ragazze vulnerabili mercificate sullo schermo e nella vita

– ragazzi che vedono nell’hard l’unica via al denaro rapido

– un pubblico che consuma e dimentica, convinto che “non è reale”

Ma è reale eccome: reale la violenza psicologica, reale l’addestramento emotivo all’uso dell’altro, reale la deriva del desiderio ridotto a catalogo. Il porno deforma, diseduca, assuefa. È fabbrica di fantasie, ma più ancora è fonderia di coscienze.

Per questo il punto non è solo la soglia tecnica:

il vero confine si gioca sul terreno dell’educazione, dell’affettività, della famiglia, della scuola. La battaglia si vince o si perde nel cuore, non nel codice QR.

Le nuove procedure saranno utili; impedire ai minori di accedere a contenuti distruttivi è un dovere. Ma da sole non basteranno a spegnere un incendio che brucia nelle camere dei ragazzi, nelle pause tra una lezione e l’altra, nei telefoni nascosti sotto i cuscini.

Perché il porno, oggi, non promette piacere: promette potere.

Potere sul corpo, sulla mente, sull’immaginazione. È pornografia dell’ego, prima ancora che del sesso.

La domanda vera, allora, non è solo: “Come proteggeremo i minori?”.

La domanda è: “Come restituiremo agli adulti la nobiltà del desiderio?”.

Serve una cultura che sappia dire che l’amore è altro. Che il corpo è sacramento, non prodotto; relazione, non consumo; reciproco dono, non performance.

Uno Stato può verificare un documento.

Una società degna deve insegnare a riconoscere la dignità.

E una Chiesa, oggi come ieri, deve ricordarlo con voce chiara:

il vero filtro non è l’algoritmo ma l’anima.

Non è vietare a cambiare i cuori, è mostrare la bellezza.

Se vogliamo davvero educare al futuro, non basta schermare gli occhi: dobbiamo riaccendere la luce.