Dalle Pmi di Sicilia, Puglia, Campania e Sardegna arrivano i segnali più forti di un recupero atteso da anni: investimenti in 4.0 sopra la media nazionale, competenze ancora da rafforzare ma una voglia di innovare che cambia il volto del Mezzogiorno.
Per anni il refrain è stato lo stesso: il Mezzogiorno era il “fanalino di coda” dell’Italia nell’innovazione, condannato a inseguire. Oggi i numeri raccontano una storia diversa. La recente indagine di Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne fotografa una voglia di digitale che cresce più rapidamente al Sud che altrove. Sicilia, Puglia, Campania, Sardegna: proprio da queste regioni arrivano i segnali di recupero più forti.
Il 35% delle imprese meridionali investirà in tecnologie 4.0 entro il 2027, contro il 32,8% della media nazionale. Non sono più soltanto cifre: è la prova che una parte rilevante dell’asse portante del sistema industriale italiano – le piccole e medie imprese manifatturiere – ha deciso di colmare il divario. Il PNRR, la banda ultralarga, le sinergie con università e centri di ricerca stanno cambiando la percezione di sé di un’intera area produttiva.
Certo, le criticità non mancano. Un’impresa su quattro lamenta il nodo delle competenze interne: non basta installare macchinari intelligenti se non ci sono tecnici capaci di programmarli e gestirli. Ma il fatto che le Pmi del Sud scelgano di puntare su robotica, simulazioni tra macchine connesse, cyber security significa che la transizione non è più uno slogan. È un progetto reale, trainato dal desiderio di efficienza e riduzione dei costi, ma sempre più anche dall’ambizione di migliorare qualità e processi.
In controluce, emerge una questione culturale: per decenni si è pensato al digitale come a un lusso del Nord, mentre al Sud bisognava pensare prima a “sopravvivere”. Oggi invece molte aziende meridionali hanno capito che senza digitalizzazione la sopravvivenza stessa è a rischio. Non si tratta di rincorrere una moda, ma di rispondere a una necessità competitiva.
Ecco perché questa accelerazione va sostenuta. Le Camere di Commercio parlano di collegamento tra ricerca e impresa, ma occorre di più: politiche formative mirate, reti di collaborazione tra territori, accompagnamento alle imprese più piccole che non hanno uffici di progettazione. Non basta spendere fondi, bisogna trasformarli in competenze.
L’Italia che investe nel digitale a Napoli, Palermo, Bari non è un’eccezione da raccontare con stupore: è il futuro che dobbiamo considerare normale. Il Sud che innova non è più un ossimoro. È una possibilità concreta di crescita per tutto il Paese. Perché se l’industria meridionale si mette davvero in moto, non è solo il Mezzogiorno a guadagnarne, ma l’intero sistema-Italia.
