L’estrema destra di Vox fomenta la caccia allo straniero

Alta tensione a Torre Pacheco (Murcia) dopo una brutale aggressione a un 68enne del luogo. In seguito alla manifestazione pacifica convocata dal sindaco per chiedere giustizia, gruppi di estrema destra hanno scatenato violente ritorsioni contro giovani di origine magrebina, con inseguimenti, insulti razzisti e aggressioni fisiche. Un video mostra un’auto accerchiata e assalita da una folla armata, mentre la Guardia Civil fatica a contenere la violenza. Intanto cresce la preoccupazione per nuove “cacerías” (cacce) organizzate via Telegram da movimenti xenofobi che parlano apertamente di “ripulire le strade”.

A Torre Pacheco, comune agricolo della regione di Murcia, è accaduto qualcosa di ben più grave di un’escalation tra bande. Qui si è oltrepassata la soglia della civile convivenza, si è permesso all’odio organizzato di manifestarsi per le strade come potere autonomo. In due notti consecutive, gruppi ultras hanno trasformato un quartiere abitato prevalentemente da famiglie marocchine in un bersaglio mobile. E la cosa più allarmante è che questa violenza non nasce dal caso, ma da una precisa strategia.

Come ha denunciato la delegata del governo Mariola Guevara, l’odio è stato fomentato con chiamate all’azione diffuse online, organizzate da gruppi di estrema destra e da ambienti neonazisti. Gli aggressori non erano cittadini esasperati, ma provocatori giunti da fuori, sostenuti da una macchina propagandistica ben rodata. E dietro a questa macchina, c’è un partito che ormai non si limita a flirtare con i razzisti: li rappresenta. Si chiama Vox.

Il suo leader regionale, José Ángel Antelo, non solo non ha preso le distanze dalle violenze, ma ha rincarato la dose: «Li deporteremo tutti: non ne resterà nemmeno uno». Questo è linguaggio di odio, degno delle pagine più nere della storia europea. Ed è un linguaggio che si traduce in azioni: bambini terrorizzati, madri rinchiuse in casa, medici come Fatima costretti a nascondersi per non essere insultati o aggrediti. È questo il risultato della retorica che collega immigrazione e insicurezza, diffusa da chi siede nei consigli regionali, nelle giunte comunali, nelle istituzioni.

Torre Pacheco è l’emblema di cosa accade quando l’estrema destra smette di essere una minaccia latente e diventa forza attiva. Quando i proclami razzisti non sono più sussurrati ma gridati nei microfoni. Quando un’aggressione individuale — ancora senza colpevoli — viene usata come grimaldello per colpire un’intera comunità, per legittimare la paura, per normalizzare la violenza.

Chi resta in silenzio, chi si gira dall’altra parte, è complice. Complice di chi semina il panico per lucrare consenso, di chi alimenta una guerra tra poveri per distogliere lo sguardo dai veri problemi: la precarietà, l’abbandono istituzionale, la diseguaglianza crescente.

La Spagna democratica deve reagire. Il governo, le forze di sinistra, le realtà sociali e sindacali, i media responsabili devono prendere parola, con chiarezza, senza ambiguità. Occorre un argine fermo alla xenofobia, un piano serio per disinnescare l’odio, proteggere i più vulnerabili, e contrastare chi oggi usa le paure della gente per costruire una nuova stagione di violenza e intolleranza.

A Torre Pacheco, oggi, si decide anche il nostro domani. Se accetteremo la logica delle “cacce”, se lasceremo che il razzismo diventi linguaggio e prassi politica, se ci abitueremo a vedere l’odio come una variante dell’ordine, allora avremo perso tutti. Ma se sapremo reagire, se saremo capaci di costruire alleanze, se torneremo a guardare l’altro non come un nemico ma come parte della stessa lotta, allora l’Europa — anche in questa piccola città murciana — potrà ancora respirare.