Nel giorno della festa della mamma, due bambini ghanesi di appena due anni sono morti di sete e di fame su un gommone diretto a Lampedusa. Erano partiti con i loro genitori dalla Libia, cercando salvezza. Sono arrivati cadaveri, stretti al petto delle loro madri. Mentre da Roma si parlava di “difendere i confini” contro un’inesistente “invasione”, il Mediterraneo consegnava al mondo l’ennesimo atto d’accusa. Un mare che continua a inghiottire innocenza, mentre l’umanità resta alla deriva.

Hanno viaggiato nel silenzio. Avvolti nel pianto stanco delle madri. Due bambini ghanesi, due anni appena, un maschietto e una femminuccia. Partiti dalla Libia in un gommone strapieno, con a bordo più di sessanta persone. Erano vivi alla partenza, stretti al cuore dei genitori. Sono arrivati morti. Muti, rigidi, disidratati. Consumati dalla sete e dalla fame. Sono stati adagiati sul ponte della nave Nadir, soccorsi troppo tardi. È accaduto domenica. La festa della mamma.

Sono morti su un gommone inadatto agli adulti, figuriamoci a due bambini. Poca acqua. Poco cibo. Nessuna certezza. Solo il sogno disperato di poter sopravvivere altrove. Sognavano di “invadere” l’Europa, come ha dichiarato nello stesso giorno il vicepremier Salvini: «Difendere i confini è la vera emergenza, siamo sotto invasione clandestina». Ma loro due, i piccoli, non ce l’hanno fatta nemmeno a varcare quei confini.

Cadaveri tra le braccia delle madri.

Nel giorno in cui fioriscono le rose nei vasi e le scuole regalano lavoretti alle mamme, loro due, figli senza colpa, sono morti tra le braccia di chi li aveva generati, accarezzati, nutriti, e infine protetti fino all’ultimo respiro. Erano il futuro di una famiglia, ora diventata lutto su lutto. Mentre in Italia si parla di “deterrenza”, “Cpr in Albania”, “rimpatri”, “accordi con la Tunisia”, la realtà si presenta con la sua verità inaccettabile: si continua a partire, e si continua a morire. Di fame. Di sete. Di assenza di umanità.

500 morti solo dall’inizio del 2025. Trentaduemila negli ultimi dieci anni.

Eppure, si insiste. La politica dei porti chiusi ha solo cambiato il lessico, non la sostanza. Ora si parla di “riordino”, “controlli”, “approdi selezionati”, mentre le Ong vengono criminalizzate anche quando accolgono corpi inermi come quelli dei due piccoli ghanesi. Sono stati i volontari della nave Nadir a prenderli tra le braccia, a sorreggere quelle madri senza più lacrime, a guardare in faccia il disastro umano prodotto dall’ideologia dell’esclusione.

Cosa avrebbero “invaso”, questi bambini?

Forse le nostre scuole vuote, i banchi lasciati liberi dalla denatalità. Forse le nostre piazze silenziose, i borghi desertificati. Avrebbero portato voci nuove, parole in più, abbracci imprevisti. E invece no. Sono stati inghiottiti da quel “mare mortuum”, come lo chiamava Papa Francesco. Il Mediterraneo delle omissioni. Il confine più letale d’Europa.

Ma proprio dalla Chiesa arriva la voce di un’alterità evangelica. Ieri, Papa Leone XIV, nel suo primo discorso alla Chiesa e al mondo, ha detto:

«Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta ad accogliere con le braccia aperte tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, della nostra presenza, del dialogo e dell’amore».

Ponti, non muri. È ancora possibile crederci?

C’è chi lo fa. Ogni giorno.

Gli operatori delle Ong che salvano vite, e vengono puniti per questo. Gli abitanti di Lampedusa, che aprono le porte anche se le istituzioni le chiudono. I pescatori che tirano su corpi e non li dimenticano. I parroci che battezzano i figli dei migranti. I medici volontari. Gli insegnanti di italiano nei centri d’accoglienza. L’Italia della solidarietà, che esiste ancora, anche se non fa notizia.

Ma servono parole nuove, e politiche nuove.

Perché i due piccoli “clandestini”, come li chiamano nei palazzi del potere, sono in realtà due martiri della nostra indifferenza. Due bambini che ci interrogano senza bisogno di parlare. Due creature che gridano, nel silenzio delle onde, il fallimento di un continente che si crede cristiano, ma che chiude gli occhi davanti alla croce più vera: quella degli innocenti che muoiono prima ancora di poter essere accolti.

Avrebbero invaso la vita. E invece li abbiamo lasciati morire.

Ora riposano nel nostro mare. Il nostro Mediterraneo. Il nostro specchio. E in fondo, forse, il nostro giudice.