Il tema migratorio potremmo definirlo “sacramento” del magistero di Papa Francesco.

Il naufragio di Cutro del 26 febbraio 2023 riporta indietro di dieci anni le lancette del tempo. Papa Francesco aveva da poco inaugurato il suo ministero petrino quando, al largo di Lampedusa, il Mediterraneo inghiottì per sempre oltre trecento migranti del Corno d’Africa. Fu la peggiore tragedia dei nostri mari in tempo di pace.

C’è da chiedersi se dopo tutto questo tempo sia cambiato qualcosa in merito.

Vite a perdere su barche a perdere sballottate dalle onde della “globalizzazione dell’indifferenza”.
A distanza di tredici giorni dal naufragio del caicco schiantatosi per le onde alte su una secca a ridosso di Cutro, il mare ha ancora restituito un corpicino.

Come succede in tutti i naufragi i primi ad annegare sono i bambini.  
Sono morti in questa tragedia diciannove bambini. 
Tra questi tre fratellini di tredici, nove e cinque anni. 

Sono morti anche due gemellini di sei anni e un bambino di pochi mesi.
Finora le vittime recuperate nel naufragio superano le settanta unità. È possibile che altri corpi, ormai irriconoscibili, saranno ancora rinvenuti nei prossimi giorni. 
«Cutro non è stata una tragedia annunciata, ma una tragedia denunciata. Credo sia ipocrita dire non che è stato possibile dare una risposta… No, non abbiamo saputo o voluto anticipare. Nella Chiesa, a cominciare da Papa Francesco, in tanti lo hanno sottolineato mille volte: non c’è nessuna sorpresa in queste vicende, sono cose previste e molto politiche. Oltre che tristissime».


Queste sono le parole durissime del cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero della Santa Sede per il servizio dello sviluppo umano integrale.


La ricostruzione spazio-temporale della tragedia evidenzia la scelta delle autorità di governo, di trasformare un’operazione di soccorso in un’operazione di polizia.

Non è in mare, ma sulla spiaggia che si volevano accogliere quei migranti con uno spiegamento di forze in assetto antisommossa.


L’assenza di un progetto occupazionale e di sviluppo interno vede aumentare negli ultimi decenni il numero di giovani italiani, specialmente laureati, costretti a cercare lavoro all’estero.

Nel secolo scorso, specie dopo l’unità d’Italia, la sperequazione economica e sociale tra Nord e Sud portò a una forte spinta migratoria tanti connazionali.

Perduta la coscienza del presente e la memoria del passato, il governo criminalizza il fenomeno antico e sempre nuovo delle migrazioni di persone.

Per il caso di Cutro, la strage dovrà pesare sulla coscienza dei vertici della catena di comando dei soccorsi in mare, fino ai palazzi del potere di Roma.


La tragedia di Cutro dimostra anche che le persone partono indipendentemente dalla presenza delle ONG di soccorso in mare. 
Questi natanti nel Mediterraneo non costituiscono un pool factor, cioè un incentivo per la spinta migratoria secondo anche uno studio dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale).

Il caicco di Cutro era partito da Smirne e sullo Jonio sono meno concentrate le navi soccorso delle ONG che prediligono piuttosto il Canale di Sicilia, tratta più battuta dalle carrette del mare.


Giorgia Meloni si era autodefinita donna, madre e cristiana, ma si è tenuta al largo delle coste calabresi fornendo il destro all’opposizione di sinistra.
Sergio Mattarella, al contrario, è stato sollecito nel rendere omaggio alle vittime nel crotonese, calmando le acque agitate dell’opinione pubblica indignata di un’Italia che ha conosciuto nel passato una tradizione emigratoria.

La pietà, la commozione e l’indignazione degli abitanti di Cutro hanno testimoniato di un‘Italia migliore di chi la governa.

La risposta più volgare del governo, tuttavia, è presto arrivata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi quando ha dichiarato: «La disperazione non giustifica i viaggi che mettono a rischio i propri figli». Ha poi aggiunto: «Sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa fa il Paese per me ma cosa posso fare io per il paese».
È evidente che citava un famoso aforisma di Kennedy valido in una democrazia ma non per chi scappa dalla guerra siriana dove vengono utilizzati i gas e la tortura; dall’Afghanistan dove alle donne viene negato qualsiasi diritto.
Gli immigrati di Cutro scappavano anche dall’Iran dove stanno avvelenando le ragazze o sparando negli occhi alle donne che manifestano contro il governo…


Tutte queste persone volevano darsi la possibilità di una vita altra e in molti casi avevano preso su di loro la responsabilità di provare a dare una vita diversa ai loro figli.


La poetessa britannica di origine somala Warsan Share in Home così si esprime in alcuni eloquenti e crudi versi che riportiamo tradotti in italiano:

Nessuno affida i propri bambini ad una barca 

 a meno che l’acqua non sia più sicura della terra.

Chi sceglierebbe di passare giorni 

 e notti nel ventre di un camion 

 a meno che il tragitto percorso significhi più di un viaggio?

Nessuno sceglierebbe di strisciare sotto recinti, 

essere picchiata fin quando la tua ombra non ti abbandona,

violentata, annegata, costretta al fondo della barca per il colore della pelle, esser venduta, ridotta alla fame, venir sparata alla frontiera come un animale ferito, 

 essere compatita, perdere il proprio nome, perdere la propria famiglia, 

 chiamare casa un campo profughi per un anno, o due, o dieci, 

 spogliata e perquisita, in prigione ovunque 

 e se sopravvivi venire accolta dall’altra parte 

 con andatevene a casa neri, rifugiati sporchi immigrati, richiedenti asilo 

 parassiti scuri, con le mani pendule che odorano strano, di selvaggio.

 Guarda cosa hanno fatto dei loro Paesi, cosa faranno al nostro?

A Cutro chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle in umanità?

Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e di queste sorelle?

A Lampedusa, citando Lope La Vega, Papa Francesco rispose: Fuenteovejunacioè «tutti e nessuno».

Nessun governo europeo finora ha saputo o voluto lottare efficacemente contro la tratta degli esseri umani e contro lo sfruttamento dell’immigrazione.

I veri ricchi trafficanti rimangono da nababbi nei loro paesi.

L’inasprimento delle pene per altri disperati che guidano i barconi carichi di persone con una bussola in mano, sembra la leggenda dell’elefante che partorisce il topolino.

Questa, infatti, è la risoluzione del consiglio dei ministri svoltasi a Cutro per ragioni solo di propaganda visto che nessuno ha incontrato le vittime.

È facile farsi forti con i deboli e deboli con i forti, ma si perde autorevolezza e credibilità in campo nazionale ed internazionale.