Traoré aveva promesso un Paese libero e sovrano, ma oggi il Burkina sprofonda in una spirale di violenze. Il sogno di Sankara si spegne sotto i colpi del cinismo geopolitico, delle stragi etniche e delle complicità internazionali.

OUAGADOUGOU – L’ultima strage a Djibo è solo l’ennesimo colpo inferto alla speranza. Centinaia di jihadisti hanno assaltato in contemporanea caserme, commissariati e interi quartieri. Hanno ucciso civili e militari, risparmiando solo donne e bambini. Un’azione feroce, simbolica, che racconta il fallimento di un progetto politico che aveva fatto sognare.

Quando nel 2022 il capitano Ibrahim Traoré prese il potere, una parte dell’Africa gridò al “nuovo Sankara”. Giovane, antimperialista, vestito da combattente e deciso a liberarsi della tutela francese. Ma oggi, due anni dopo, il Paese è allo stremo: assediato dai gruppi jihadisti, piagato da una guerra interna che colpisce anche i civili, e senza veri alleati affidabili.

La Russia non protegge, la Francia non dimentica

La svolta russofona del Burkina Faso si è rivelata una coperta corta. L’appoggio del Cremlino è più simbolico che concreto. Dopo la ritirata francese, Traoré ha chiesto aiuto a Mosca: droni, consiglieri militari, sicurezza. Ma i risultati sono modesti. I mercenari della Wagner non si vedono più, e gli attacchi jihadisti aumentano.

Nel frattempo, l’ombra della Francia non è sparita. C’è chi sospetta che, dietro la nuova ondata di insicurezza, vi sia una “mano invisibile” interessata a destabilizzare l’area per delegittimare i governi militari filo-russi. Non ci sono prove, ma la memoria del colonialismo è viva, e alimenta una narrazione che accusa Parigi di voler “punire” i popoli che le hanno voltato le spalle.

I massacri dei civili Fulani

Il dramma, però, non viene solo dal cielo o dalla periferia internazionale. Viene anche dall’interno. A marzo, nella regione di Boucle du Mouhounoltre 130 civili di etnia Fulani sono stati uccisi da milizie filogovernative, con la partecipazione dell’esercito regolare. Lo denuncia Human Rights Watch in un rapporto durissimo: omicidi, esecuzioni sommarie, corpi bruciati, villaggi svuotati.

Le vittime? Pastori, anziani, bambini. Colpevoli solo di appartenere a un’etnia troppo spesso stereotipata come fiancheggiatrice del jihadismo. È una dinamica tristemente nota in tutta l’Africa occidentale: la guerra al terrorismo che si trasforma in guerra contro interi popoli, alimentando odio, vendetta e nuove reclute per i gruppi estremisti.

Silenzio e menzogne

Mentre i massacri si moltiplicano, il governo tace o parla solo di “vittorie” e “riconquiste”. Ma il territorio fuori controllo aumenta, e la gente fugge. Le scuole restano chiuse, le ONG riducono le attività, e la società civile è sempre più minacciata.

A far paura è anche l’assenza di prospettive: né un processo di transizione credibile, né un’idea di Stato giusto e inclusivo. Il sogno di sovranità è diventato un’ideologia d’assedio, che giustifica tutto in nome della sicurezza. Ma a pagare sono sempre i più poveri.

Un Sahel in bilico

Il Burkina non è solo. Mali e Niger, guidati anch’essi da giunte militari, condividono la stessa fragilità. L’intero Sahel rischia di implodere, trasformandosi in un arco di guerra permanente. E senza vere soluzioni politiche, né l’Occidente né la Russia riusciranno a spegnere l’incendio.

Riscoprire Sankara, davvero

Cosa resta del sogno di Traoré? Molti avevano sperato in un ritorno dello spirito di Thomas Sankara: giustizia sociale, emancipazione dei popoli, dignità africana. Ma la realtà odierna è molto più cinica. Senza trasparenza, senza partecipazione, senza rispetto dei diritti umani, la sovranità diventa solo una nuova forma di oppressione.

Il Burkina Faso ha bisogno di sicurezza, sì. Ma ancora di più ha bisogno di verità, giustizia e speranza. Ha bisogno di leader che parlino con la gente, che ascoltino le vittime, che denuncino la violenza — anche quella compiuta in nome dello Stato. Ha bisogno di una rivoluzione che non uccida, ma costruisca.

Solo così il nome di Sankara potrà tornare ad avere senso. E solo così, forse, il Sahel potrà smettere di essere la terra delle promesse tradite.