Nel Giubileo dei detenuti, mentre l’Anno Santo si avvia alla conclusione, Papa Leone XIV rilancia l’appello a un atto di clemenza – amnistia o indulto – come gesto coerente con la tradizione biblica del Giubileo e come risposta concreta a un sistema carcerario, anche in Italia, segnato da sovraffollamento e fragilità. Non un cedimento, ma una scelta di giustizia che restituisca dignità, futuro e possibilità di reinserimento a chi non coincide con il proprio errore.

Nel tempo in cui l’Anno Santo volge al termine, Papa Leone XIV ha rilanciato con parole nette e meditate una richiesta che tocca uno dei nodi più sensibili della giustizia contemporanea: un atto di clemenza, amnistia o indulto, capace di restituire fiducia a chi vive l’esperienza del carcere e di aprire reali possibilità di reinserimento nella società. Lo ha fatto dall’altare della Basilica di San Pietro, celebrando la Messa per il Giubileo dei detenuti, e richiamando esplicitamente il desiderio già espresso da Papa Francesco nella bolla Spes non confundit.

Non si tratta – ha chiarito il Pontefice – di un gesto buonista o ideologico, ma di una scelta profondamente radicata nella tradizione biblica del Giubileo, nato come tempo di grazia, di liberazione e di nuovo inizio. «Il Giubileo – ha ricordato – era proprio l’anno in cui ad ognuno, in molti modi, si offriva la possibilità di ricominciare». È questa logica evangelica che rende oggi sensato interrogarsi anche su strumenti giuridici straordinari, quando il sistema penitenziario mostra evidenti segni di affanno.

Lo sguardo di Leone XIV non ha ignorato la realtà concreta, in particolare quella italiana, segnata da sovraffollamento cronico, carenza di percorsi educativi stabili, insufficienza di opportunità lavorative e da un carico umano spesso insostenibile, tanto per i detenuti quanto per chi opera quotidianamente nelle carceri. «Nonostante l’impegno di molti, anche nel mondo carcerario c’è ancora tanto da fare», ha scandito il Papa, indicando senza retorica le ferite aperte di un sistema che rischia di punire senza riabilitare.

Il cuore del suo messaggio sta però in un principio antropologico e teologico insieme: nessun essere umano coincide con il male che ha commesso. È questa convinzione che ha dato il tono all’intera celebrazione, collocata non a caso nella Terza domenica di Avvento, la Gaudete, domenica della gioia. Una gioia non superficiale, ma fondata sulla speranza che il cambiamento sia possibile anche nelle condizioni più dure. «Che nessuno vada perduto», ha ripetuto il Pontefice, facendo eco al desiderio stesso di Dio.

In questo orizzonte, l’amnistia evocata dal Papa non è una scorciatoia, ma un segno forte di una giustizia che vuole essere anche riparativa e riconciliativa, capace di guardare al futuro senza negare la responsabilità. È un appello che interpella le istituzioni civili, ma anche la società nel suo insieme, chiamata a non delegare tutto al carcere e a non rimuovere chi ha sbagliato.

Richiamando il gesto di Papa Francesco a Rebibbia – l’apertura della Porta Santa nel cuore di un carcere – Leone XIV ha ricordato che la speranza cristiana non è astratta: è un’àncora gettata nel presente, che chiede porte aperte non solo di ferro, ma di cuore. Anche dietro le sbarre, ha detto, possono fiorire gesti di umanità, percorsi di conversione, frammenti di bene inattesi.

In prossimità del Natale, il messaggio assume una forza ulteriore: la giustizia, per essere davvero tale, non può rinunciare alla misericordia, e la misericordia, per non essere vuota, deve tradursi in scelte concrete. Il Giubileo, ha ricordato Leone XIV, non serve a chiudere un capitolo, ma ad aprirne uno nuovo. Perché, con il Vangelo alla mano, una cosa sola resta decisiva: che nessuno vada perduto.