Nelle cronache di questi giorni, l’incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente americano Donald Trump sembra un nuovo capitolo di una lunga guerra che non trova sbocco. Zelensky, in abito scuro, ha abbandonato la mimetica da comandante per mostrarsi come uomo di governo: il segno di un passaggio, dal tempo della resistenza a quello della ricerca di una pace difficile.
La scena di Washington non è solo diplomazia. È l’immagine di un’umanità stanca, che chiede una tregua e un orizzonte di sicurezza. Zelensky insiste sullo scambio completo di prigionieri e sul rifiuto di cedere terre ucraine. Trump evoca il sogno di un accordo rapido, magari da suggellare con il suo nome. I leader europei si affrettano a mostrare sostegno: la loro preoccupazione è che la logica della forza diventi regola anche in Europa.
Ma la domanda di fondo resta: quale pace? Una pace costruita sul sacrificio di popoli e territori è fragile, non pacifica. È la pace dei trattati imposti, che lascia ferite aperte. La pace vera è giustizia, come ci ricorda la Dottrina sociale della Chiesa: non si riduce al silenzio delle armi, ma si fonda sul riconoscimento della dignità dei popoli, sulla tutela dei deboli, sul rispetto del diritto internazionale.
In questo momento, l’Europa e l’Occidente hanno il dovere di non cercare solo scorciatoie diplomatiche. La fame a Gaza, i morti a Kharkiv, le migliaia di famiglie senza casa nel Donbass gridano che non basta “negoziare” come se tutto fosse moneta di scambio. Ogni trattativa che non tenga conto delle vittime rischia di essere ingiusta.
Le piazze d’Israele, piene di cittadini che chiedono il ritorno degli ostaggi e la fine della guerra, ci insegnano che la vera forza non sta nei carri armati, ma nella voce dei popoli che invocano pace. Anche l’Ucraina, con i suoi bambini che studiano sotto le bombe e con i suoi prigionieri ancora in mano russa, porta questa stessa invocazione.
Il summit di Washington ci ricorda che il futuro dell’Europa non dipende solo da confini ridisegnati, ma dalla capacità di custodire il bene comune. Non è solo compito dei capi di Stato: riguarda tutti, anche noi. Pace giusta significa che la vita dei piccoli, dei poveri, dei senza voce non è mai sacrificabile.