Mentre Donald Trump rilancia l’accusa di narcotraffico contro Nicolás Maduro, giustificando così la pressione militare e diplomatica sul Venezuela, riemerge un copione antico: quello del pretesto morale per coprire l’assalto alle risorse. Petrolio, litio e influenza politica tornano a essere il terreno di un confronto tra impero e autodeterminazione. Esiste anche un’altra America: quella che costruisce dal basso un socialismo umanista e comunitario, fondato sulla dignità dei popoli e la sovranità sociale delle periferie.
La “guerra alla droga” come maschera del petrolio
L’ennesima accusa di narcotraffico lanciata dagli Stati Uniti contro il governo di Nicolás Maduro non ha nulla a che vedere con la droga. Piuttosto, nasconde il desiderio di tornare a impadronirsi delle immense riserve petrolifere del Venezuela, oggi al centro della strategia di resistenza dell’ALBA – l’alleanza bolivariana tra Caracas, L’Avana e Managua.
Il dispiegamento della IV Flotta statunitense nei Caraibi non è che l’ennesimo segnale di questa logica predatoria: non una crociata morale, ma un dispositivo di minaccia, un blocco navale di fatto che colpisce anche civili e pescatori, come riconosciuto dallo stesso ex ammiraglio Alvin Holsey al momento delle sue dimissioni.
La “guerra alla droga” serve dunque a giustificare l’isolamento del Venezuela, con lo scopo di provocare un casus belli o spingere il Paese a una reazione che renda legittimo un attacco.
Il petrolio come misura del mondo
Dietro l’ostilità americana c’è una realtà materiale: il Venezuela possiede oltre 300 miliardi di barili di greggio, la riserva accertata più grande al mondo.
Gli Stati Uniti, pur producendo 15 milioni di barili al giorno, ne consumano più di 20 milioni, e le loro riserve durerebbero appena cinque anni se cessassero le importazioni.
La nuova dottrina Monroe di Trump – tra embargo, guerre ibride e diplomazia del caos – si fonda su questa fame energetica. Dopo aver trasformato l’Ecuador in un protettorato e spostato a destra la Bolivia del litio, Washington tenta ora di completare la mappa delle dipendenze: niente socialismo bolivariano, niente petrolio libero.
“Un socialismo umanista, cristiano e comunitario”
L’attacco al Venezuela è soprattutto uno scontro di modelli di civiltà.
C’è stata una lunga storia di collaborazione tra i movimenti sociali italiani e la rivoluzione bolivariana: «La nostra rete – spiega – ha sempre fatto dell’internazionalismo un principio vitale. Dalla Rete dei Comunisti alla USB, fino alle organizzazioni giovanili come Cambiare Rotta e OSA, il legame con Cuba, Bolivia e Venezuela è stato sempre coerente e concreto».
Un impegno non accademico ma politico, «costruito fianco a fianco con i ministri di Chávez e di Maduro, in nome di un socialismo che mette al centro l’essere umano e non il mercato».
Quello venezuelano è un socialismo umanista e cristiano, fondato sul protagonismo delle donne, dei giovani e delle periferie: «È un modello che unisce la dimensione spirituale alla lotta sociale, che fa del popolo il soggetto della trasformazione e non un oggetto di assistenza».
Le comunas: la rivoluzione dal basso
L’elemento più originale dell’esperienza venezuelana resta la democrazia partecipativa delle comunas, esperimenti di autogoverno che incarnano una nuova economia: solidale, pianificata e comunitaria.
Le comunas rompono la logica delegata della democrazia borghese, costruendo dal basso una rappresentanza politica reale. Lì si cambia la vita quotidiana: attraverso il lavoro, lo sport, l’arte popolare e l’educazione. È la vera alternativa alla cultura capitalista del crimine e dell’individualismo.
Nella prospettiva bolivariana, la unità civico-militare e la comuna sono i due pilastri della rivoluzione: difendere la sovranità significa garantire che la democrazia parta dai quartieri, dalle periferie, dai luoghi dove la povertà non è più un destino ma una sfida collettiva.
Il diritto dei popoli come scontro di civiltà
Nel cuore di questo confronto – economico, informativo e spirituale – il Venezuela rappresenta oggi, con Cuba e Nicaragua, l’ultima frontiera di una civiltà del diritto che resiste al dominio dell’impero finanziario.
Mentre Trump e la sua amministrazione rilanciano la “minaccia del narcotraffico” per coprire l’assalto al petrolio, i popoli dell’America Latina continuano a proporre un’altra modernità: quella della solidarietà internazionale, dell’autodeterminazione e della giustizia sociale.
La battaglia è globale: si vince seminando cultura, conoscenza e solidarietà. Si vince trasformando le periferie in luoghi di speranza e le economie in strumenti di libertà. Si vince, soprattutto, difendendo la verità dai terrorismi informativi.