Nelle ultime settimane il cardinale Mimmo Battaglia è tornato al centro del dibattito ecclesiale per alcune dichiarazioni che hanno scosso sia gli ambienti cattolici sia l’opinione pubblica. Parole nette, prive di attenuanti, che riportano al centro una domanda antica e sempre attuale: quale deve essere il ruolo della Chiesa davanti alle ingiustizie del nostro tempo?
Durante un incontro pubblico con operatori sociali, Battaglia ha affermato che «la neutralità non è una virtù, è una resa: quando la Chiesa non prende posizione, si mette dalla parte del più forte». Una frase che sintetizza l’intera visione del porporato: la Chiesa non può limitarsi a offrire conforto spirituale quando intorno a lei si consumano violenze, discriminazioni, povertà strutturali, guerre e sfruttamenti. L’annuncio del Vangelo – ha ribadito – diventa credibile solo quando si trasforma in scelta concreta di campo.
La Chiesa e il rischio di diventare “decorativa”
Battaglia ha denunciato con forza anche un altro rischio: quello di una Chiesa che, per paura di disturbare o di essere accusata di ideologia, preferisce diventare “decorativa”. *Una Chiesa che parla di pace ma evita di nominare la guerra, che predica solidarietà ma non denuncia i sistemi che generano esclusione, che celebra i poveri mentre ignora le cause della povertà*, ha detto, finisce per svuotare la sua stessa missione.
La neutralità – nella lettura del cardinale – non è un atteggiamento prudente, ma una forma di complicità. E, citando una sua frase già entrata nel dibattito pubblico, «non prendere posizione significa lasciare che a decidere siano la paura, il potere e il denaro».
Il Vangelo come scelta di schieramento
Nelle sue parole risuona un’idea di Vangelo come forza di trasformazione reale. Non un messaggio astratto, ma un orientamento politico nel senso più nobile del termine: occuparsi della polis, della comunità degli uomini, dei loro diritti e delle loro ferite. Battaglia ha parlato spesso della necessità di una Chiesa “esposta”, capace di esporsi per difendere chi non ha voce.
Per il cardinale, restare neutrali davanti ai migranti che muoiono in mare, alle guerre che devastano interi popoli, alle mafie che soffocano il Sud, agli sfruttamenti del lavoro, significa tradire l’essenza stessa dell’annuncio cristiano. “Il Vangelo – ha detto – non è neutrale: è una presa di posizione radicale per l’ultimo, il ferito, il dimenticato”.
Una voce che divide ma che riapre il dibattito
Le affermazioni di Battaglia non hanno lasciato indifferenti. Alcuni ambienti ecclesiali le hanno accolte come un richiamo salutare alla coerenza, altri hanno espresso timori per un presunto “attivismo politico” della Chiesa. Ma proprio questa polarizzazione rivela la portata rivoluzionaria del messaggio: rimettere i cristiani di fronte alle responsabilità concrete del loro tempo.
Battaglia non parla di schieramenti partitici, bensì di schieramenti morali. La sua denuncia non mira a trasformare la Chiesa in un soggetto politico, ma a sottrarla alla tentazione dell’irrilevanza. Perché – come ha ricordato citando un’antica massima – «quando la giustizia è ferita, il silenzio è un delitto».
La forza di un messaggio che interpella tutti
Le parole del cardinale non riguardano solo la Chiesa: parlano alla società intera, invitando ciascuno a interrogarsi sul proprio ruolo in un mondo dove ogni ingiustizia è spesso accompagnata da un cono d’ombra di silenzi, convenienze e paure.
Il messaggio è chiaro: non esiste neutralità possibile di fronte alle ferite dell’umanità. E se la Chiesa vuole restare fedele alla sua missione, non può che scegliere di stare dalla parte degli ultimi, anche quando questo comporta scontro, incomprensioni o isolamento.
In un tempo segnato da conflitti globali, disuguaglianze crescenti e crisi morale diffusa, la voce del cardinale Battaglia si alza come un appello a ritrovare coraggio. Perché la fede, se non rischia, diventa un guscio vuoto. E il Vangelo, senza scelte radicali, perde la sua forza liberatrice.
