A Washington c’è la sensazione di essere entrati in una nuova stagione della storia, ma non quella che l’Europa aveva immaginato. Trump parla ormai apertamente di un mondo diviso in due blocchi, uno dei quali – quello cinese – rappresenta il vero avversario. E se la Cina è il nemico principale, tutto il resto diventa negoziabile, persino l’Ucraina.
L’idea non è nuova, ma oggi appare sorprendentemente semplice nella sua brutalità: tenere Putin dalla parte “giusta” del grande confronto con Pechino, lasciandogli mano libera dove più gli interessa. È una logica scolpita nel granito della Guerra Fredda, rovesciata come una scacchiera: non più contenere la Russia, ma usarla. E se l’Ucraina diventa il prezzo da pagare, pazienza. O, meglio, pazienza per gli altri.
Mentre questo nuovo disegno prende forma, l’Europa continua a muoversi come un continente che non ha ancora capito di aver perso la protezione di default degli Stati Uniti. Ha svuotato i propri arsenali per aiutare Kyiv, ha firmato contratti miliardari per riacquistare armi dagli americani, e lo ha fatto con la speranza che quell’aiuto fosse un investimento nella stabilità. Ora scopre che era un investimento a perdere. Gli armamenti partivano a Est, i bilanci si dissanguavano, e intanto Washington sembra aver cambiato il finale del film senza avvisare gli attori europei.
La sensazione, qui nel Vecchio Continente, è quella di essere stati colti in un gioco che non controlliamo più. Abbiamo sostenuto l’Ucraina come gesto politico, morale, identitario; Trump la considera un dossier tecnico, un dettaglio della partita maggiore contro la Cina. Non c’è cattiveria, non c’è cinismo personale: c’è un’altra strategia. E un’altra scala delle priorità.
Putin osserva tutto questo come chi vede aprirsi una finestra che non si aspettava più. Non serve che rompa con Pechino: basta che sorrida verso Washington. È un lusso che nessuno gli concedeva da vent’anni. La sola possibilità di un’intesa tattica con gli Stati Uniti gli permette di dettare il ritmo della guerra. E mentre lui avanza, l’Europa indietreggia, non sulle mappe, ma nella consapevolezza di sé.
Si pensava che l’unità europea avrebbe resistito a tutto. Invece si scopre che è fragile come ogni costruzione che non ha fondamenta militari proprie. Le cancellerie parlano, convocano vertici, promettono “autonomia strategica”. Ma autonomia di chi? Di un continente che compra armi altrove perché non riesce a produrle? Di paesi che aumentano la spesa militare sapendo che gran parte finirà nelle casse degli Stati Uniti, proprio mentre gli Stati Uniti si preparano ad abbandonare la causa che aveva giustificato quella stessa spesa?
È uno di quei momenti in cui si percepisce l’inclinazione della storia. L’Europa scopre di essere vulnerabile proprio mentre la geopolitica si fa più dura. Si ritrova compressa, non più fra due potenze, ma fra tre: una America imprevedibile, una Russia che non vuole più negoziare, e una Cina che osserva ogni crepa occidentale come un’opportunità.
E in mezzo c’è l’Ucraina, che combatte, resiste, chiede aiuto. Non per retorica, ma perché sta fisicamente pagando il prezzo di questa grande riconfigurazione globale. È il suo sangue a scorrere per una contesa che oggi sembra più lontana da lei che mai. È la sua terra a diventare pedina. È la sua gente a essere sacrificata nella speranza che il tavolo più grande, quello tra Washington, Mosca e Pechino, produca un equilibrio che nessuno al fronte vede davvero.
Si dice spesso che l’Europa sia stanca. Ma non è stanchezza: è spaesamento. È l’improvvisa consapevolezza che la sicurezza non è un diritto acquisito, e che i grandi alleati non sono eterni. È il sospetto – sempre più difficile da scacciare – che il continente non abbia più voce nei momenti cruciali, solo eco.
Trump vuole Putin dalla sua parte contro la Cina. Putin vuole prendersi ciò che considera suo. L’Europa vuole proteggere i suoi valori, ma senza aver costruito gli strumenti per difenderli. E intanto la guerra continua, come una fiamma che brucia cemento e convinzioni insieme.
La vera domanda non è più cosa deciderà Trump, o cosa pretenderà Putin.
La vera domanda è: quando deciderà l’Europa di smettere di subire la storia e cominciare finalmente a farla?
