La nuova sindaca di Merano, Katharina Zeller, eletta in territorio italiano e stipendiata dallo Stato, ha rifiutato platealmente di indossare la fascia tricolore durante l’insediamento. Un gesto che non è solo simbolico: è un affronto all’Italia, alla sua unità e alla sua sovranità, che riaccende l’indignazione verso un Alto Adige sempre più autonomista nei diritti e sempre meno italiano nei doveri.
C’è un gesto che pesa più di mille discorsi. E il gesto con cui la neoeletta sindaca di Merano, Katharina Zeller (SVP), ha ostentatamente rifiutato di indossare la fascia tricolore della Repubblica italiana è uno schiaffo alla democrazia, alla convivenza e a tutti i cittadini – italiani – che quella fascia rappresenta. “Sei sicuro che proprio devo?”, ha detto al predecessore che le cingeva il simbolo ufficiale dell’unità nazionale, per poi posarla come fosse un ingombro, un corpo estraneo. In quella frase c’è tutto: disprezzo, superiorità, distacco. Ma soprattutto: un sottinteso rigetto dell’identità italiana e dello spirito repubblicano.
Il fatto che Zeller sia esponente della Südtiroler Volkspartei non può giustificare una tale caduta di stile istituzionale. Essere parte di una minoranza linguistica non significa potersi arrogare il diritto di calpestare i simboli di una nazione che garantisce, difende e tutela – anche a caro prezzo – proprio quelle minoranze. La fascia tricolore non è un vezzo folcloristico, ma il segno visibile dell’appartenenza a uno Stato democratico, che finanzia generosamente l’autonomia altoatesina con miliardi provenienti dalle tasche di milioni di contribuenti italiani.
Chi siede su una poltrona comunale in Italia, in qualunque comune della Repubblica, rappresenta l’unità della nazione – non solo il suo campanile, non solo la sua etnia, non solo la sua lingua. Quello di Zeller non è dunque un gesto folkloristico, ma politico. Un atto deliberato che parla a una parte della cittadinanza escludendone un’altra. E allora ha ragione Christian Bianchi (Forza Italia): cosa dovrebbero pensare i cittadini meranesi di lingua italiana che l’hanno votata? Che peso avranno le loro istanze nei prossimi anni? A chi risponderà, davvero, questa sindaca?
A oltre un secolo dalla fine della Prima guerra mondiale, il tricolore non dovrebbe più fare paura a nessuno, né essere rifiutato come se fosse il vessillo di un nemico. L’Alto Adige ha fatto dell’autonomia il proprio mantra, trasformandola – a tratti – in una rendita. Ma l’autonomia non può diventare secessione culturale. Non può giustificare lo sfregio alla Repubblica.
Un’ultima nota. Se un sindaco siciliano avesse rifiutato la bandiera italiana indossando magari solo il vessillo regionale, o se un sindaco calabrese avesse detto “mettiamola via, dai” con la fascia addosso, l’intero Paese sarebbe insorto. Perché allora il silenzio assordante dei garanti istituzionali, delle autorità nazionali, del governo?
Il tricolore non è un’opzione. È un dovere. E chi non lo riconosce, forse, dovrebbe chiedersi se ha davvero il diritto di rappresentare un popolo intero. Anche quello di lingua italiana.