I parlamentari italiani di sinistra, 5 stelle e Forza Italia hanno votato per l’estensione dell’aborto

C’è qualcosa di moralmente indecente nel fatto che, a ridosso del Natale, mentre la cristianità si prepara a celebrare la nascita di un bambino, il Parlamento europeo abbia votato a larga maggioranza una risoluzione che spinge a trasformare l’aborto in un “diritto fondante” dell’Unione. Non è solo una contraddizione simbolica: è una frattura antropologica.

La risoluzione “My voice, my choice”, approvata a Strasburgo, non ha valore vincolante. Ma ha un valore politico, culturale e morale enorme. Dice con chiarezza che l’Europa istituzionale considera la soppressione della vita nascente non una tragedia da prevenire, ma un servizio da facilitare, finanziare, garantire. E lo fa mentre parla di ripopolamento, di crisi demografica, di futuro dell’Europa, e mentre sostiene politiche di guerra e di respingimento degli immigrati. È difficile immaginare un cortocircuito etico più grave.

A votare a favore sono stati in blocco i Socialisti e Democratici, con il Partito Democratico italiano in prima fila: Stefano Bonaccini, Giorgio Gori, Dario Nardella, Alessandro Zan, Nicola Zingaretti. A loro si sono aggiunti Verdi e Sinistra, inclusi i parlamentari di Alleanza Verdi e Sinistra, come Ilaria Salis, e quelli del Movimento 5 Stelle. Il contributo decisivo è arrivato però anche da una parte del Partito Popolare Europeo, con eurodeputati di Forza Italia come Caterina Chinnici, Giusy Princi, Flavio Tosi, che hanno scelto di dissociarsi dal “no” ufficiale del PPE.

Qui non siamo più davanti a una dialettica politica legittima. Siamo davanti a una responsabilità personale, che non può essere sciolta nella disciplina di gruppo o nella retorica dei diritti. Chiamare “diritto” l’eliminazione di una vita innocente non è progresso: è violenza linguistica che prepara violenza reale. È l’atto tipico di una civiltà che ha smarrito il senso del limite.

Non meno grave è il comportamento di chi, come Lucia Annunziata, ha prima votato contro e poi ha corretto il voto in favore, come se si trattasse di una svista tecnica e non di una questione di sangue. O di chi, come Marco Tarquinio, ha scelto l’assenza, rifiutando di partecipare a una votazione che toccava il cuore della coscienza europea. Anche l’astensione, in certi momenti, è una forma di giudizio.

Sul fronte opposto hanno votato contro i parlamentari di Fratelli d’Italia – Carlo Fidanza, Paolo Inselvini, Nicola Procaccini, Stefano Sberna – quelli della Lega come Susanna Ceccardi Sardone, Aldo Patriciello, Isabella Tovaglieri, e parte del PPE, tra cui Massimiliano Salini. Non per questo la questione può essere ridotta a uno scontro tra progressisti e conservatori. Sarebbe un alibi per non pensare.

Il punto è più profondo. Qui non è in gioco un valore “cattolico” contro uno “laico”. È in gioco la natura della legge. Ogni ordinamento giuridico degno di questo nome riconosce che la legge positiva non crea la realtà, ma la riconosce. Esiste una legge naturale, accessibile alla ragione, che stabilisce che la vita umana innocente va protetta. Esiste, per chi crede, una legge divina ed eterna che lo conferma. Negare tutto questo significa fondare il diritto sul potere, non sulla giustizia.

Per questo il giudizio della COMECE è stato netto e fondato: l’aborto diretto è gravemente contrario alla legge morale, e l’Unione europea non ha competenza per imporre un’ideologia che scavalca gli Stati e il principio di sussidiarietà. Ancora più esplicita la FAFCE, che ha denunciato l’uso distorto delle Iniziative dei Cittadini Europei per finanziare pratiche abortive persino dove sono illegali.

Il dramma, però, non è solo istituzionale. È culturale. Il progressismo europeo si è suicidato nel momento in cui ha smesso di difendere i più deboli per difendere solo l’autodeterminazione dei più forti. Ha abbandonato l’antropologia per l’ideologia, la compassione per la procedura, la cura per la scorciatoia.

E allora sì: c’è qualcosa di sanguinario in tutto questo. Non nel senso emotivo o insultante, ma nel senso preciso di una politica che amministra la morte mentre predica il futuro. Che elimina i figli e poi si interroga su chi pagherà le pensioni. Che parla di pace e investe nella guerra. Che invoca i diritti e nega il primo di tutti: il diritto di nascere.

Meno male che, nonostante loro, Gesù nasce.

Nasce senza votazioni, senza maggioranze, senza risoluzioni.

Nasce come giudizio silenzioso su ogni potere che chiama bene il male e progresso la soppressione dell’innocente.