Gli scontri a Roma, nati da un presidio per sostenere la Global Flottiglia diretta a Gaza, hanno riaperto ferite che vanno ben oltre i vetri infranti e i fumogeni. Un raduno iniziato come manifestazione di solidarietà è rapidamente degenerato in guerriglia urbana: bombe carta, bottiglie, idranti e lacrimogeni, quattro fermati e una trentina di agenti feriti. In mezzo, la rabbia di chi denuncia la tragedia palestinese e la determinazione delle forze dell’ordine a garantire ordine pubblico.

Il punto non è negare la legittimità della protesta. In democrazia, il diritto di manifestare è un valore sacro, soprattutto quando si alzano voci contro la guerra e per i diritti umani. Ma la violenza snatura questo diritto, lo consegna a minoranze radicali che brandiscono bandiere estremiste e trasformano una causa giusta – il sostegno umanitario a Gaza – in uno spettacolo di scontri che non convince nessuno e finisce solo per polarizzare.

Le immagini di San Lorenzo ci obbligano a riflettere su una doppia cecità. Da un lato, quella di chi non vede più il limite tra protesta e violenza, e legittima gesti che mettono a rischio cittadini e poliziotti. Dall’altro, quella di una politica che rischia di leggere ogni manifestazione solo in chiave di ordine pubblico, senza interrogarsi sulle radici del malessere: il grido che arriva da Gaza, l’indignazione di giovani che si sentono impotenti di fronte a una guerra senza fine.

Nessuno si illuda: bandiere di Hezbollah e cori contro Israele non aiutano i palestinesi. Ma nemmeno liquidare tutto come “teppismo” basta a capire. C’è una domanda di giustizia che attraversa le piazze europee e che non può essere repressa a colpi di fogli di via. Tocca alle istituzioni saper distinguere tra chi strumentalizza e chi chiede pace.

La Chiesa ci ricorda che “la pace non si costruisce con le armi ma con il dialogo”. Roma, città simbolo di incontro, non può diventare il teatro di una spirale sterile di violenza. Oggi più che mai serve lucidità: non cedere né al giustificazionismo dei violenti, né al riduzionismo securitario che cancella le ragioni profonde delle proteste.

Gli scontri di San Lorenzo ci consegnano una lezione: senza dialogo vero, senza capacità di dare voce a chi invoca pace senza odio, ogni piazza rischia di trasformarsi in un campo di battaglia. E chi paga il prezzo, alla fine, sono sempre i più deboli.