Un editoriale pubblicato recentemente da il Manifesto ha riportato alla memoria alcune delle pagine più dolorose della cronaca italiana: episodi mortali di razzismo che hanno segnato il nostro Paese negli ultimi decenni. Non solo il nome di Abdul William Guiebre, “Abba”, il diciannovenne ucciso a sprangate a Milano nel 2008, ma anche i sei africani assassinati a Castel Volturno nello stesso anno, il raid di Macerata del 2018, l’omicidio di Idy Diene a Firenze e tanti altri volti e storie che spesso i media hanno relegato a notizie marginali, presto dimenticate.

Come ricordava l’articolo del quotidiano, «in Italia è più facile piangere George Floyd che riconoscere il nostro razzismo di casa». Una frase provocatoria, ma che contiene una verità scomoda: tendiamo a commuoverci per ciò che accade altrove, mentre facciamo fatica ad affrontare la durezza di quanto avviene nelle nostre città.

La luce del Vangelo

Di fronte a queste ferite, il Vangelo ci offre un criterio chiaro. La parabola del buon samaritano (Lc 10) insegna che il prossimo è colui che incontro nella fragilità, indipendentemente dal colore della pelle o dal passaporto. Papa Francesco, in Fratelli tutti, ha ribadito che la fraternità universale non è un’utopia, ma una condizione indispensabile per la pace. Per la Dottrina sociale della Chiesa, ogni persona porta in sé un valore sacro e inviolabile: non esistono “vite di serie B”.

Ogni omicidio motivato dall’odio razziale è un’offesa al Creatore stesso, oltre che una ferita sociale. Non possiamo tacere, né archiviare queste tragedie come “casi isolati”: esse ci chiamano a una conversione culturale e spirituale.

La responsabilità di tutti

Al tempo stesso, la convivenza esige responsabilità reciproca. Sarebbe ingiusto non riconoscere che talvolta alcuni immigrati, scegliendo l’arroganza o la strada della criminalità, alimentano diffidenze e paure. Sono minoranze, certo, ma danneggiano l’immagine e la vita di molti connazionali onesti. Il Vangelo non ci invita a chiudere gli occhi, bensì a unire l’accoglienza con la giustizia, il rispetto della dignità con quello delle regole.

Vie di speranza

La risposta non può ridursi a tribunali e condanne. La memoria delle vittime chiede impegni concreti:

  • Educare i giovani al dialogo interculturale e al rifiuto di ogni discriminazione.
  • Testimoniare nelle comunità cristiane che la Chiesa è casa di tutti, senza muri né pregiudizi.
  • Promuovere politiche giuste che uniscano accoglienza, tutela e responsabilità.
  • Convertirci personalmente, superando stereotipi e indifferenza.

La memoria delle vittime del razzismo in Italia non deve restare prigioniera delle pagine di cronaca o di qualche anniversario. Per i cristiani, ricordare significa assumersi la responsabilità di costruire una società diversa, più giusta, capace di vedere nell’altro non un pericolo, ma un fratello.