Obbedienza, libertà e senso. Quando la polemica sostituisce il pensiero
C’è un tempo in cui le parole vengono ascoltate, e un tempo — il nostro — in cui vengono intercettate, estrapolate e trasformate in bersagli. È ciò che è accaduto a Conversano il 20 dicembre scorso durante l’omelia di monsignor Giuseppe Laterza, nunzio apostolico in Repubblica Centroafricana, finita al centro di una polemica che ha il sapore dell’equivoco deliberato. Una polemica rilanciata con enfasi da alcuni quotidiani, tra cui il Corriere della Sera, che hanno preferito il riflesso ideologico alla comprensione concettuale.
Eppure, sul piano filosofico, antropologico e teologico, non c’è nulla di “strano”, né di scandaloso, in quanto affermato. Anzi, colpisce come proprio una predicazione mariana — dunque centrata sulla libertà più alta mai narrata nella storia umana — sia stata letta come un inno alla sottomissione.
Obbedire non è servire: è scegliere un fine
Il cuore dell’equivoco sta tutto in una parola: obbedienza. Nella cultura contemporanea essa è stata ridotta a sinonimo di sottomissione, perdita di autonomia, negazione della libertà. Ma questa riduzione è storicamente, concettualmente e teologicamente falsa.
Nella grande tradizione del pensiero — da Aristotele a Tommaso d’Aquino — obbedire significa orientare liberamente la propria volontà verso un bene riconosciuto come tale. Non è costrizione, ma atto intenzionale. Non è eteronomia, ma riconoscimento di un ordine di senso che precede e fonda la scelta.
È lo stesso meccanismo che regge il voto democratico: nessuno costringe il cittadino a votare, e tuttavia egli accetta liberamente regole, esiti, decisioni che lo superano. Obbedisce alla legge che ha contribuito a fondare. E nessuno grida allo scandalo.
Perché allora scandalizzarsi se, nel rapporto con Dio, si usa la medesima categoria?
Maria, icona della libertà obbediente
È qui che la dimensione mariana — curiosamente ignorata dai polemisti — diventa decisiva. La Vergine Maria non è l’icona di una donna soggiogata, ma la figura biblica della libertà pienamente compiuta. Il suo fiat non è un atto imposto, ma la risposta più radicalmente libera mai pronunciata da una creatura.
Nel racconto dell’Annunciazione non c’è traccia di violenza, costrizione o annullamento. C’è una proposta, un dialogo, una domanda — «Come avverrà questo?» — e una risposta che nasce da un atto di intelligenza e di fiducia. Maria obbedisce perché comprende il senso, non perché rinuncia a se stessa. Anzi, proprio obbedendo diventa pienamente se stessa.
È ciò che mons. Laterza ha richiamato, rifacendosi a Sant’Agostino, quando ha parlato di Maria come “donna libera perché ha saputo obbedire”. Non obbedienza cieca, ma adesione consapevole al progetto di Dio, dove la libertà non si perde ma si realizza.
La parola estrapolata e l’equivoco mediatico
A generare la reazione è stata una chiosa — «ditelo a qualche femminista» — estrapolata dal contesto dell’omelia. Una frase infelice, forse, ma piegata a dimostrare ciò che non c’era. Lo stesso nunzio, interpellato in questi giorni, ha chiarito con semplicità e umiltà:
«Ho parlato di Maria che realizza la sua libertà obbedendo al progetto di Dio. Questo è il senso della libertà secondo Sant’Agostino. Se qualcuno si è sentito offeso, chiedo umilmente scusa: le mie intenzioni non erano quelle di sminuire la donna o la sua libertà. Non ho mai parlato di sottomissione».
Parole che acquistano peso se collocate nella biografia concreta di mons. Laterza: sacerdote conversanese, diplomatico vaticano, oggi nunzio in Repubblica Centrafricana e Ciad, impegnato quotidianamente — come lui stesso ricorda — nella promozione della dignità della donna in Africa, a partire dalla scolarizzazione delle bambine, dalla sanità, dall’accesso all’acqua e alle cure.
Visione assiologica e teleologica: ciò che oggi non si vuole più sentire
Il nunzio non ha parlato di dominio, ma di senso. Non di soggiogamento, ma di ordine assiologico (ciò che vale) e teleologico (ciò verso cui si tende). Parlare di Dio e della sua legge non significa affermare la supremazia di un individuo su un altro, bensì riconoscere che l’essere umano non è misura ultima di se stesso.
Qui sta il vero nodo della polemica: la modernità radicale non tollera più alcun limite che non sia autoimposto. Ogni riferimento a un bene oggettivo, a una verità che precede la scelta individuale, viene percepito come una minaccia.
Ma senza una finalità condivisa, la libertà si svuota. Diventa puro arbitrio. E l’arbitrio, storicamente, non ha mai reso l’uomo più libero: lo ha reso solo più solo.
Aborto: quando la libertà dimentica il più debole
È in questo quadro che va collocata anche la questione dell’aborto, spesso evocata in modo improprio. Difendere il valore dell’obbedienza a Dio e alla sua legge non significa ignorare la donna, né negarne la sofferenza. Significa ricordare che la libertà non può fondarsi sulla cancellazione dell’altro, soprattutto quando quell’altro è il più indifeso.
Maria, che accoglie una vita quando tutto umanamente la espone al rischio, non è un modello irrealistico: è il segno che la libertà autentica non elimina il fragile, ma se ne prende carico. Qui non siamo nel campo delle rivendicazioni ideologiche, ma in quello dei diritti primordiali, primo fra tutti il diritto alla vita. Un diritto che precede ogni scelta e non può essere liquidato come residuo confessionale.
Una polemica pretestuosa
Per questo la polemica contro il nunzio appare pretestuosa e sterile. Non c’è nessuna apologia della sopraffazione, nessuna teologia della subordinazione, nessuna antropologia patriarcale nascosta tra le righe. C’è, piuttosto, una visione dell’uomo che rifiuta di ridurlo a individuo isolato, sovrano di desideri senza scopo.
Colpisce che chi invoca costantemente il “dialogo” si mostri incapace di dialogare proprio con una tradizione di pensiero — filosofica, biblica e mariana — che ha contribuito a costruire l’idea stessa di persona, di coscienza e di responsabilità.
Difendere mons. Laterza, oggi, non significa difendere una posizione di potere. Significa difendere la possibilità stessa di pensare la libertà come qualcosa di più grande del capriccio.
E ricordare, con Maria, che obbedire al bene non è una rinuncia: è l’atto più alto della libertà umana.
