Ieri, nella festa della Visitazione, Papa Leone XIV ha ordinato nuovi presbiteri nella Basilica di San Pietro. Un momento di grazia per tutta la Chiesa, ma anche un’occasione per ascoltare — come in ogni sua omelia — la voce limpida di un pastore che conosce il cuore dell’uomo, la fragilità dei percorsi vocazionali, e la bellezza del servizio sacerdotale quando nasce nel popolo e per il popolo.
Proprio in questi giorni il Santo Padre ha ricordato pubblicamente un momento decisivo del suo passato: quando, da giovane agostiniano, visse un passaggio di discernimento nel quale pensò di lasciare la vita religiosa non per paura, ma per amore. «Sognavo una famiglia, dei figli, una vita semplice e buona», ha detto in un’intervista. Un desiderio nobile, che non è entrato in conflitto con la chiamata di Dio, ma l’ha attraversata e purificata. Fu il dialogo con il padre a orientarlo, un confronto umano e sincero — ha confidato — «più efficace di tante direzioni spirituali ricevute». Fu grazie a questo confronto che Prevost comprese che la chiamata del Signore non cancella il desiderio di amare, ma lo trasfigura in una forma più grande.
Non è un caso che nell’omelia dell’Ordinazione, Papa Leone XIV abbia parlato di un sacerdozio inserito in una “vita leggibile”, dentro la carne della storia e della comunità. Un sacerdozio che nasce nel popolo e torna al popolo, senza arroccamenti, senza privilegi, senza paura. «Vite conosciute, vite leggibili, vite credibili», ha detto con parole intense. Parole che ricordano i richiami di Giovanni Paolo II al “sacerdozio trasparente” e quelli di Benedetto XVI alla “coerenza del cuore”, così come i tanti appelli di Papa Francesco a “non separarsi dal popolo di Dio, perché lì c’è Gesù”.
Al centro della sua riflessione, il senso ecclesiale della vocazione: non un’avventura solitaria, ma una chiamata ad essere “custodi” — mai padroni — di un’eredità che è di Cristo e appartiene a tutti. La missione, ha spiegato, “non ci appartiene”: il prete non si sostituisce a Gesù, ma lo lascia agire in lui, come servo, come segno di una presenza più grande.
In un tempo segnato dalla crisi delle vocazioni e dalla sfiducia, Leone XIV mostra che la chiamata di Dio è ancora viva, e passa attraverso i legami familiari, l’amicizia, la preghiera, il silenzio, il coraggio di mettersi in cammino. Non si tratta di difendere un ruolo, ma di generare fiducia. E forse il messaggio più forte del Papa è proprio questo: un prete è un uomo che ha imparato ad amare senza possedere, a servire senza comandare, a donarsi senza condizioni.
Nella festa della Visitazione, dove Maria “si alza e va in fretta”, Leone XIV ci ricorda che ogni vocazione autentica è una visita che cambia la vita, che mette in moto, che spalanca orizzonti. E lo fa con la dolcezza forte di chi, prima di parlare come Papa, ha vissuto con cuore di figlio.