Il suicidio di Paolo, quindicenne deriso e umiliato dai compagni, non è solo una tragedia familiare: è uno specchio che riflette le nostre omissioni di adulti. Scuola e genitori non possono rimpallarsi le colpe: educare al rispetto è un compito condiviso. E i ragazzi, per crescere, devono imparare anche a difendersi, senza essere lasciati soli in nome di un’iperprotezione che li rende fragili.

Paolo aveva solo quindici anni. Troppo sensibile, troppo mingherlino, troppo diverso – così lo dicevano i compagni. Deriso, spintonato, umiliato, fino a sentirsi schiacciato da un peso più grande di lui. Ha scelto di andarsene, lasciando dietro di sé una famiglia distrutta e una comunità che oggi si interroga.

Il dolore dei suoi genitori è inconsolabile. Hanno bussato a tante porte, presentato esposti, chiesto ascolto. E oggi non vogliono vendetta, ma responsabilità. Una parola pesante, che riguarda tutti noi.

Non basta puntare il dito

Certo, la scuola ha il dovere di vigilare. Ma la scuola da sola non basta. Quei ragazzi che insultavano Paolo non sono cresciuti tra i banchi, ma nelle famiglie. Il bullismo non nasce a scuola: a scuola esplode. È figlio di un’educazione troppo spesso delegata, di adulti che non hanno insegnato ai propri figli il valore del rispetto.

Difendersi e crescere

C’è un aspetto che ci mette a disagio ma che va detto: i ragazzi devono anche imparare a difendersi. Non a trasformarsi in bulli, ma a trovare dentro di sé la forza di reagire. Nelle famiglie di un tempo si cresceva così: tra fratelli ci si prendeva e ci si ridava, si imparava a stare al mondo. L’iperprotezione non aiuta, perché lascia i ragazzi più soli e indifesi quando si trovano davanti alla durezza della vita.

Una responsabilità adulta

Il suicidio di Paolo ci dice che il sistema non ha funzionato. Non ha funzionato la scuola, non hanno funzionato le famiglie, non ha funzionato la comunità. È ora che gli adulti si assumano la propria parte:

  • la scuola, applicando davvero protocolli e interventi tempestivi;
  • i genitori, vigilando e correggendo, senza chiudere gli occhi davanti ai comportamenti sbagliati dei figli;
  • la società, creando contesti sicuri e relazioni autentiche.

Per non sprecare questa morte

Il dolore dei genitori di Paolo non si può cancellare. Ma possiamo far sì che non sia inutile. Paolo ci chiede di cambiare: di educare al rispetto, di insegnare ai nostri ragazzi la forza della dignità, di accompagnarli nella fragilità.

Perché i ragazzi non hanno bisogno di scuole perfette o famiglie senza problemi. Hanno bisogno di adulti veri, che non li lascino soli.