Il Decreto del Dicastero per il Clero (2025) sulla disciplina delle intenzioni delle Sante Messe
Una prassi antica, un aggiornamento necessario
Nel cuore della vita sacramentale della Chiesa cattolica c’è l’Eucaristia, “fonte e culmine” della vita cristiana. Da secoli, la prassi di offrire una Messa secondo una determinata intenzione, accompagnandola da una libera offerta, esprime la volontà dei fedeli di unirsi al sacrificio di Cristo, contribuendo anche al sostentamento del clero. Una tradizione confermata dal canone 945 § 1 del Codice di Diritto Canonico, e pienamente riconosciuta dalla teologia e dalla prassi ecclesiale.
Il nuovo Decreto del Dicastero per il Clero, approvato da Papa Francesco il 13 aprile 2025 (Domenica delle Palme) e in vigore dal 20 aprile (Domenica di Pasqua), si pone in continuità con questa tradizione, ma anche in risposta a situazioni nuove, evidenziando preoccupazioni di giustizia e di autenticità pastorale.
La posta in gioco: giustizia, sacramentalità, trasparenza
Il decreto riafferma due principi fondamentali:
- La giustizia verso gli offerenti: se una persona offre un’oblazione perché venga celebrata una Messa per una precisa intenzione, tale applicazione deve avvenire, senza ambiguità o sostituzioni improprie.
- L’evitare ogni apparenza di commercio sacro (simonia): la Messa non si “vende”, e le offerte non possono essere strumentalizzate per interessi economici.
La Chiesa, come affermava Papa Francesco, non è una dogana, ma una casa paterna. Tuttavia, questa casa esige anche ordine, verità e rispetto per il senso profondo dell’offerta eucaristica.
L’intenzione “collettiva”: quando è possibile?
Una delle questioni più delicate riguarda le cosiddette “Messe collettive”, cioè una sola Messa celebrata secondo più intenzioni distinte, per le quali sono state ricevute diverse offerte.
Il decreto prevede che:
- Si può celebrare una Messa con intenzione collettiva solo se tutti gli offerenti hanno dato il loro consenso esplicito.
- Tale consenso non si può presumere. In caso di dubbio, si presume che non sia stato dato.
- Il sacerdote può trattenere solo l’offerta relativa a una delle intenzioni.
- Tali celebrazioni non devono diventare la norma, ma rimanere eccezionali.
L’eventuale abuso di questa pratica, come segnalato in diverse diocesi, rischia di scoraggiare le offerte personali, svuotando di significato spirituale un’antichissima tradizione ecclesiale.
Illeciti e abusi: la Chiesa interviene
Il decreto è esplicito: sostituire una Messa promessa con una semplice preghiera o menzione durante una celebrazione della Parola o una liturgia diversa è illecito. Ancora più grave è accettare offerte per intenzioni senza poi applicare realmente la Messa.
Laddove queste prassi siano diffuse, si richiede agli Ordinari:
- formazione del clero e dei fedeli;
- verifica annuale dei registri delle intenzioni;
- possibilità di sanzioni disciplinari o penali.
Una prospettiva missionaria e solidale
Un altro elemento interessante del decreto è l’invito a rilanciare la pratica delle intenzioni trasferite ai paesi di missione, dove mancano mezzi e offerte. Si riafferma anche l’importanza di celebrare Messe per i più poveri anche senza ricevere alcuna offerta, secondo il can. 945 § 2.
La Messa come dono di grazia deve rimanere accessibile a tutti, anche a chi non può permettersi di contribuire economicamente. E in questo, il clero è chiamato a essere segno della gratuità di Dio.
Un’occasione per educare alla verità del sacrificio
Questo decreto, lungi dal voler burocratizzare la fede, intende proteggere il mistero dell’Eucaristia e la fiducia dei fedeli, educando a una relazione più consapevole con il mistero della Messa. È un invito rivolto a sacerdoti e laici a vivere con autenticità, giustizia e trasparenza un gesto che, per molti, è carico di affetto, speranza e fede.
Come ha affermato Papa Francesco, l’Eucaristia è un rimedio per i deboli, non un privilegio per pochi. Ma la verità della liturgia chiede anche serietà e responsabilità, per non svuotarla di significato.
