L’Angelus di ieri di papa Leone XIV ha avuto il tono di una vera e propria profezia civile ed evangelica: «Non c’è futuro basato sulla violenza, sull’esilio forzato, sulla vendetta. I popoli hanno bisogno di pace: chi li ama veramente, lavora per la pace». È una frase che rimbalza non solo nelle coscienze dei credenti, ma nell’agenda di chiunque abbia a cuore il destino dell’umanità. Alla vigilia della giornata di mobilitazione e di sciopero contro la guerra a Gaza, il Papa ha scelto ancora una volta di non tacere. Con ostinazione, quasi con un’urgenza paterna, ha indicato le responsabilità di chi alimenta il conflitto e non ferma le armi.

Il gesto di salutare le associazioni cattoliche presenti in piazza San Pietro – Agesci, Azione Cattolica, Caritas, Focolari, Pax Christi, ACLI – ha reso visibile un popolo che non si rassegna. Lo striscione «Pace per Gaza» era il simbolo di una Chiesa che non alza bandiere ideologiche ma tende mani fraterne. Non a caso, stasera quella stessa rete di movimenti e comunità si raccoglierà in preghiera a Santa Maria in Trastevere: la fede che diventa supplica, il Vangelo che diventa azione concreta.

Il Pontefice ha legato la denuncia della guerra al Vangelo di Luca: l’egoismo, il culto della ricchezza, la corsa al profitto che «sparge il veleno della competizione» non restano confinati nella sfera privata ma si traducono in conflitti, disuguaglianze, violenze. La parabola proclamata ieri diventa così una lente per leggere la geopolitica: la ricchezza può essere strumento di solidarietà o carburante di dominio. È il cuore della questione, che tocca tanto i singoli quanto i governanti.

«Non potete servire Dio e la ricchezza», ha ripetuto Leone XIV. E questa non è un’astrazione spirituale: è un criterio di discernimento per la storia. Quando la ricchezza si trasforma in armi, umilia i popoli e calpesta i lavoratori; quando diventa bene comune, apre spazi di libertà, giustizia e fraternità. Qui il Papa si fa pedagogo sociale: non remissività, non indifferenza, ma conversione del cuore. Perché senza rivoluzione interiore non c’è rivoluzione pacifica.

Il messaggio è esigente e insieme liberante. Non divide in fazioni, ma convoca tutti a una responsabilità condivisa. Non offre scorciatoie politiche, ma propone uno stile di vita: aprire le mani per donare, aprire le menti per progettare una società migliore. In un’Europa segnata da crisi, proteste e paure, la voce di Leone XIV ci ricorda che la vera riforma parte sempre dal cuore.

Se il futuro non si costruisce con la vendetta, allora la pace non è utopia: è compito quotidiano, è vocazione comune. È questo il filo rosso che lega Piazza San Pietro a Gaza, la veglia a Trastevere alle case di chi soffre in silenzio. È il Vangelo che diventa storia.