Mentre sabato 14 giugno gli occhi dell’America saranno puntati sulla spettacolarizzazione del potere con il grande parade militare voluto da Donald Trump per il 250° anniversario dell’esercito statunitense, migliaia di cittadini si raduneranno in tutto il Paese – e anche oltre oceano – per gridare un messaggio semplice ma radicale: “No Kings”, nessun re.
Il contrasto non potrebbe essere più evidente. Da un lato, l’uso del linguaggio della forza come legittimazione simbolica dell’autorità presidenziale. Dall’altro, la protesta diffusa, decentrata e volutamente non conflittuale, per riaffermare il principio democratico dell’eguaglianza e del limite al potere.
Il movimento che scende in piazza è ampio e trasversale: include realtà come l’ACLU, l’associazione Indivisible, e gruppi nati per difendere i diritti civili, la sanità pubblica e la giustizia sociale. Non è una protesta contro l’esercito, ma contro l’uso politico e scenografico delle forze armate in funzione elettoralistica o intimidatoria.
L’assenza deliberata di manifestazioni a Washington – per non offrire un pretesto repressivo – è un segnale di maturità civile. Philadelphia, culla della Costituzione americana, ospiterà invece il cuore simbolico della protesta, proprio lì dove i padri fondatori dichiararono l’indipendenza da una monarchia per dar vita a una Repubblica fondata sulla legge, e non sulla volontà di un uomo solo.
Il grido “No Kings” è più di uno slogan: è il richiamo all’essenza del costituzionalismo moderno, oggi messo alla prova da una visione personalistica e autoritaria del potere che si serve del nazionalismo militare per legittimarsi.
Se la democrazia è davvero un valore universale – e non solo occidentale – allora anche l’Europa deve saper leggere questi eventi con attenzione. L’eco che arriva dagli Stati Uniti ci interroga sulle forme di disobbedienza nonviolentacome strumenti di vigilanza democratica. E ci ricorda che, in ogni Paese, il populismo si nutre del silenzio degli altri poteri.
In un tempo in cui anche in Italia qualcuno fantastica di “uomini forti” o di governi che risolvano tutto da soli, l’America ci offre una lezione: la libertà non è solo il frutto di diritti scritti, ma della coscienza vigile dei cittadini, capaci di scendere in piazza non per distruggere, ma per ricordare.
Perché nessuno, davvero nessuno, è re in una democrazia. Nemmeno quando comanda gli eserciti.
Il compleanno di Trump si è trasformato nel suo incubo. Cosa imporra adesso negli Stati federali? La legge marziale?