Non è religione. È terra, potere, clima, risorse. E l’Africa merita di non essere ancora una volta terreno di narrazioni tossiche.
Donald Trump ha minacciato “un’azione militare rapida” in Nigeria per “difendere i cristiani”. Parole solenni, toni messianici, posture da salvatore dell’Occidente.
Il copione è noto: si invoca la fede, si agita la paura e si accendono riflettori moralistici sul palcoscenico africano.
Ma dietro la sceneggiatura, ancora una volta, la realtà africana viene compressa in una favola bianca: buoni cristiani contro cattivi musulmani.
Solo che la Nigeria non è un romanzo coloniale e non è teatro di una guerra di religione. È molto di più. Ed è molto più doloroso.
Nel cuore della Middle Belt non si combatte per il Vangelo o per il Corano, ma per acqua, terra, pascolo, dignità e sopravvivenza.
È lo scontro fra agricoltori sedentari e pastori fulani — un conflitto antico che oggi esplode perché il clima avanza come un deserto, i governi locali alimentano divisioni, le milizie prosperano, le armi circolano e i giovani perdono speranza.
Chi ha occhi in Africa lo sa: la religione è la lingua che maschera interessi materiali.
Lo stesso accade in Ciad, nel Sahel, nelle savane del Niger, nei villaggi d’Etiopia.
E adesso arriva Washington con il solito megafono moralizzatore:
“Proteggiamo i cristiani, fermiamo i terroristi”.
Peccato che la Nigeria sia anche la grande potenza petrolifera dell’Africa occidentale.
E che questa retorica odori — ancora una volta — di greggio e geopolitica: come quando si pronunciavano parole di libertà davanti al Venezuela, e poi si spostavano portaerei per “ripristinare la democrazia”.
Evangelizzare la paura e militarizzare la compassione: è così che si costruiscono consensi facili e corridoi energetici sicuri.
Intanto, chi paga?
Sempre loro: le famiglie di Plateau, gli allevatori di Benue, gli studenti di Abuja, le donne dei villaggi del Kaduna.
Cristiani, musulmani, tradizionalisti, atei.
Nigeriani — non pedine geopolitiche.
La pace in Africa non scenderà dal cielo con le bombe e non arriverà nelle stive delle portaerei.
Nasce dalla giustizia, dal controllo delle armi, da soluzioni condivise sulla terra e sull’acqua, dalla mediazione locale e dalla crescita economica inclusiva.
E, soprattutto, nasce lasciando che l’Africa racconti sé stessa, senza che altri le cuciano addosso crociate, mappe e interessi.
Trump può gridare alla difesa della fede. Ma qui il problema non è il Paradiso. È la terra — quella che si surriscalda, quella contesa, quella che qualcuno vuole scavare. L’Africa ha visto abbastanza “liberatori”.
Oggi ha bisogno di chi ascolta, accompagna, e non sfrutta il Vangelo per trivellare il futuro.
