Un nuovo atto di esproprio contro un’opera educativa cattolica, mentre il Paese assiste alla progressiva cancellazione delle presenze ecclesiali
Dal 1915 le Suore Giuseppine hanno varcato le porte delle aule del Collegio San José di Jinotepe, nel dipartimento di Carazo, con lo stesso stile discreto e concreto che le ha sempre contraddistinte: insegnare ai bambini la grammatica e l’aritmetica, ma soprattutto l’arte di vivere nel rispetto reciproco, nella carità e nella fede. In oltre un secolo di presenza, quella scuola è diventata un punto di riferimento per generazioni di famiglie, un luogo in cui l’educazione cristiana ha plasmato cittadini responsabili e pacifici.
Oggi, però, quelle mura sono state confiscate dal governo di Daniel Ortega e Rosario Murillo, che ha deciso di sottrarre il collegio alla congregazione religiosa, accusandola — senza prove pubbliche — di crimini commessi durante le proteste del 2018. Secondo le parole della co-presidente, all’interno della struttura sarebbero stati torturati e uccisi militanti sandinisti. Accuse gravissime, che la comunità ecclesiale locale e la stessa opinione pubblica indipendente hanno definito diffamatorie e inaccettabili.
La decisione di ribattezzare il collegio con il nome di un militante sandinista ucciso durante quelle stesse manifestazioni non è solo un’operazione simbolica: rappresenta un tentativo di riscrivere la memoria, cancellando il legame profondo tra l’istituto e la Chiesa cattolica.
Non si tratta di un caso isolato. Negli ultimi anni, le autorità nicaraguensi hanno colpito sistematicamente le opere educative e caritative della Chiesa: seminari, centri di ritiri, scuole e associazioni sono stati chiusi o espropriati; vescovi e sacerdoti arrestati o costretti all’esilio; processioni e celebrazioni pubbliche vietate. Ogni volta, il pretesto è stato diverso: motivazioni amministrative, accuse politiche, sospetti di “sovversione”. Ma il risultato è sempre lo stesso: restringere lo spazio di azione della comunità ecclesiale e privare la popolazione di luoghi di formazione e di speranza.
La reazione internazionale non si è fatta attendere. Da Washington, il Dipartimento di Stato ha definito questa confisca “una prova ulteriore che la persecuzione contro la Chiesa in Nicaragua non conosce limiti”. E molte organizzazioni per i diritti umani denunciano un attacco strutturale alla libertà religiosa e all’opera educativa, in un Paese in cui, paradossalmente, proprio le scuole cattoliche restano spesso le uniche capaci di raggiungere le fasce più vulnerabili della popolazione.
Per la Chiesa, la questione va oltre la difesa di un immobile. È la dignità dell’educazione, il diritto dei bambini a ricevere una formazione integrale e il rispetto della missione evangelica ad essere in gioco. Colpire una scuola significa ferire la comunità che quella scuola custodisce e serve. Significa togliere ai giovani un orizzonte di pace, sostituendolo con un racconto di divisione e sospetto.
Nel cuore del Vangelo, l’educazione è sempre semina di futuro. Lo sanno bene le Suore Giuseppine, che da oltre un secolo hanno risposto alla chiamata di insegnare senza chiedere nulla in cambio, se non la libertà di servire. La loro vicenda oggi diventa simbolo di una sfida globale: in ogni latitudine, difendere l’educazione cattolica significa difendere la possibilità per i popoli di crescere nella verità e nella libertà.