Due notizie, due colpi durissimi per il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite approva con 142 voti favorevoli la cosiddetta “Dichiarazione di New York”, che apre la strada al riconoscimento dello Stato di Palestina, chiede il disarmo di Hamas e propone il ritorno dell’Autorità nazionale palestinese a Gaza. E, quasi in contemporanea, fallisce il raid israeliano a Doha contro Khalil al-Hayya, leader di Hamas e figura centrale nei negoziati: l’uomo è vivo, e con lui la narrazione di un potere militare israeliano infallibile.
Il combinato disposto di questi due eventi mina la credibilità internazionale e interna del governo Netanyahu. Da un lato, la diplomazia globale prende sempre più le distanze da un approccio esclusivamente militare: Italia e Germania, solitamente caute, hanno votato a favore della risoluzione Onu, segnale che l’isolamento israeliano cresce anche tra gli alleati storici. Dall’altro, l’operazione di Doha segna un pericoloso scivolone: Israele ha colpito in un Paese non nemico, alimentando la reazione del Qatar e la convocazione urgente del Consiglio di cooperazione del Golfo, mentre l’Egitto riconsidera la collaborazione di sicurezza. Una linea rossa è stata superata.
Il paradosso è evidente. Israele denuncia la risoluzione Onu come “vergognosa”, accusandola di non nominare Hamas come organizzazione terroristica. Ma nello stesso tempo il documento condanna gli attacchi del 7 ottobre e chiede l’esclusione di Hamas dal futuro governo di Gaza. Una base di lavoro, forse imperfetta, ma che raccoglie la larga convergenza di Stati Uniti esclusi.
Netanyahu appare così intrappolato tra l’intransigenza dei suoi alleati più oltranzisti, che sognano annessioni in Cisgiordania e una Gaza sotto controllo diretto, e la realtà di una comunità internazionale che non è più disposta ad accettare il logoramento infinito della guerra. Il premier israeliano, già indebolito dalle tensioni interne e dal peso delle vittime, rischia di vedere sgretolarsi il suo margine politico: la promessa di sicurezza assoluta si sta traducendo in isolamento diplomatico e in operazioni fallimentari.
La domanda allora è: fino a quando Israele potrà permettersi questa strategia del muro contro tutti? La Storia insegna che nessuna nazione può restare forte solo con le armi se perde il consenso internazionale e la fiducia del proprio popolo. Oggi Netanyahu raccoglie due brutte notizie, ma il messaggio che viene da New York e da Doha è uno solo: il tempo della forza senza politica è agli sgoccioli.