Le multinazionali dell’energia all’assalto del metano
La riapertura del progetto TotalEnergies a Cabo Delgado riaccende l’economia e le tensioni.
Tra diritti negati, presenze straniere e povertà crescente, il Mozambico ricorda al mondo che nessuna transizione energetica può realizzarsi senza una transizione morale.
La multinazionale francese TotalEnergies è pronta a riaccendere i motori del suo megaprogetto di gas naturale nel nord del Mozambico, nella tormentata provincia di Cabo Delgado.
Quattro anni dopo l’assalto jihadista di Palma — che nel 2021 costò la vita a più di mille persone e segnò la sospensione dei lavori — la compagnia francese annuncia il ritorno, accompagnata da una richiesta: il governo di Maputo dovrà accettare un aumento dei costi di circa 4,5 miliardi di dollari e una proroga decennale della concessione.
Ma sotto il linguaggio tecnico degli accordi economici si nasconde una domanda più profonda, che riguarda la giustizia: chi pagherà davvero il prezzo di questa ripresa?
Il gas e la guerra
Cabo Delgado è una terra ferita.
È la provincia più povera del Mozambico, ma siede su uno dei più grandi giacimenti di gas naturale del mondo.
Da quindici anni, la scoperta dell’oro blu ha trasformato questo angolo di Africa in una scacchiera geopolitica: multinazionali occidentali, investitori asiatici, governi stranieri e milizie locali competono per risorse che, ancora una volta, non arricchiscono la popolazione, ma la dividono e la impoveriscono.
Il conflitto armato, iniziato nel 2017, non nasce da un’ideologia religiosa pura, ma da un vuoto di giustizia.
Giovani senza lavoro, comunità costrette a lasciare le proprie terre, villaggi privati dei frutti del sottosuolo: in questo terreno di esclusione è germogliata la rivolta jihadista.
E mentre le multinazionali scavavano per estrarre gas, la gente scavava per seppellire i propri morti.
Il ritorno di TotalEnergies
Oggi la compagnia francese afferma che “le condizioni di sicurezza sono migliorate”.
Ma molti osservatori e giornalisti sul campo, come Armando Nhantumbo, avvertono che la situazione resta fragile.
Gli attacchi non sono cessati, le forze di sicurezza continuano a essere accusate di violenze e la popolazione civile vive ancora nel timore.
«Ogni ritorno industriale rischia di attirare nuovi attacchi — spiega Nhantumbo — e di aggravare la tensione. Total non può permettersi di ripetere gli errori del passato: i diritti umani devono diventare parte del progetto, non un danno collaterale».
Non è un appello ideologico, ma un imperativo morale.
Nel 2021, infatti, durante la fuga da Palma, decine di civili furono uccisi o dispersi mentre i lavoratori stranieri venivano evacuati in elicottero.
Un’inchiesta internazionale ha poi rivelato violazioni commesse da reparti militari incaricati di proteggere gli impianti della compagnia, in accordo con la stessa TotalEnergies.
Proteggere il gas, non le persone: il simbolo più eloquente di un’economia che confonde la sicurezza con il profitto.
L’ombra del Rwanda
A vigilare oggi su Cabo Delgado ci sono anche i soldati del Rwanda, arrivati nel 2021 con il plauso internazionale per la loro efficacia militare.
Ma la loro presenza ha un prezzo politico.
Molti mozambicani denunciano che Kigali difende più gli interessi energetici francesi che la sicurezza delle popolazioni.
E mentre la situazione resta tesa, società legate al governo rwandese ottengono nuovi contratti nei settori della sicurezza, dell’energia e delle infrastrutture.
La guerra, come il gas, è diventata un affare internazionale.
Il paradosso del progresso
Nel linguaggio ufficiale del governo e delle imprese si parla di “sviluppo”, di “opportunità”, di “modernizzazione energetica”.
Ma a Cabo Delgado, sviluppo significa sfollamento: migliaia di famiglie costrette a lasciare le proprie case per far spazio agli impianti; pescatori che non possono più accedere al mare; donne che vivono nei campi profughi senza assistenza né lavoro.
Secondo le stime, oltre il 60% dei mozambicani vive ancora sotto la soglia di povertà, e negli ultimi dieci anni, nonostante l’esplosione del gas, la povertà è aumentata dell’80%.
Il gas non ha liberato il Mozambico: lo ha reso dipendente da poteri più forti, che parlano di energia ma praticano l’estrazione delle speranze.
Laddove si prometteva prosperità, cresce la disuguaglianza.
Laddove si parlava di sicurezza, si moltiplicano le armi.
L’etica che manca
La questione, come ricorda Nhantumbo, non è solo economica o militare: è etica.
Un’economia che produce ricchezza violando la dignità delle persone è già fallita spiritualmente.
L’Africa non ha bisogno di più gas, ma di più giustizia.
E la giustizia, in questo caso, significa assicurare che le risorse naturali non diventino una maledizione, ma una benedizione condivisa.
Il Vangelo ricorda che «dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).
Ma a Cabo Delgado il tesoro è sotto terra, e il cuore — quello politico e imprenditoriale — sembra altrove.
TotalEnergies parla di “transizione ecologica”, ma come può esserci transizione se restano fermi la memoria delle vittime, i corpi degli sfrattati, le promesse tradite?
Un futuro da costruire
La pace non si compra con i contratti, ma con la fiducia.
Se la compagnia francese e il governo mozambicano vogliono davvero riavviare il progetto, devono prima ricostruire un patto sociale con la popolazione: partecipazione, compensazioni e trasparenza.
Solo così il gas potrà diventare strumento di sviluppo e non di conflitto.
Il Mozambico, culla di povertà e fede profonda, merita una crescita che non si misuri in tonnellate di gas, ma in vite restituite alla dignità.
È tempo che l’economia mondiale impari a leggere i bilanci non solo in dollari, ma in coscienze.
Perché la vera energia che manca in Africa non è quella del metano, ma quella della giustizia.
