“Macron si sbaglia sempre”. Il tono brutale del presidente Donald Trump nei confronti dell’omologo francese, espresso via Truth Social nel pieno delle tensioni tra Israele e Iran, non è solo l’ennesimo sfogo da social network. È il sintomo di una frattura strategica che attraversa non soltanto le relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Francia, ma l’intera postura occidentale nei confronti del Medio Oriente.
La crisi diplomatica tra Washington e Parigi si consuma infatti lungo tre assi concentrici: il conflitto israelo-iraniano, il rapporto con l’Ucraina e il futuro della Palestina. In tutti e tre i casi, Emmanuel Macron si è posizionato come alfiere di un europeismo interventista, ma multivettoriale, mentre Donald Trump — al secondo mandato — alterna posture muscolari a istinti isolazionisti, in funzione quasi esclusiva degli interessi immediati di potere e percezione domestica.
Due visioni del potere nel Medio Oriente multipolare
La frattura sulla crisi israelo-iraniana è il punto più caldo. Mentre Macron insiste sulla necessità di un cessate il fuoco e di un contenimento del conflitto per evitare l’escalation regionale, Trump — pressato dall’establishment israeliano — lascia aperta l’opzione di bombardare l’impianto nucleare iraniano di Fordo, un atto che trascinerebbe inevitabilmente gli Stati Uniti in una nuova guerra.
Dietro le invettive e le etichette (“pubblicitario in cerca di visibilità”, “non ha idea di cosa stia succedendo”) si cela un dissidio strategico profondo: Macron, pur sostenendo il diritto di Israele a difendersi, si oppone a una guerra preventiva contro l’Iran. Trump, invece, gioca a fare l’ambiguo: minaccia, si ritira, poi rilancia.
L’Europa, nelle parole del presidente francese, cerca un margine negoziale residuo, un’ultima finestra diplomatica — magari nell’ambito di una conferenza ONU sullo Stato palestinese. Ma Washington, in modalità trumpiana, cancella ogni interlocuzione multilaterale e preferisce il pugno duro. Non a caso l’amministrazione USA ha fatto pressioni per boicottare proprio quella conferenza ONU che Macron avrebbe voluto utilizzare per riconoscere la Palestina.
Frattura transatlantica e logica del disallineamento
Questa divergenza ricorda che, anche all’interno dell’Occidente, non esiste un blocco omogeneo. Da un lato l’asse euro-atlantico fondato su un realismo contrattato; dall’altro, l’unilateralismo trumpiano fondato su uno stile post-imperiale che ha sempre più il sapore della rottura con il vecchio ordine multilaterale.
Emmanuel Macron, nel suo sforzo di mantenere la centralità francese (ed europea) nei dossier globali, è diventato un bersaglio retorico perfetto per Trump. Eppure, sul piano geopolitico, è proprio la Francia ad aver mantenuto relazioni trasversali con Israele, con i Paesi del Golfo e con Teheran, ritagliandosi un profilo da equilibratore possibile. Un profilo che Trump non può permettersi di riconoscere, perché infrange la narrazione semplificata dell’amico-nemico su cui ha costruito la sua visione del mondo.
Il nodo Zelensky e il sogno di Yalta
Non va dimenticato che, al G7 canadese, Macron si è presentato come il leader europeo più vicino a Zelensky, mentre Trump ha rifiutato ogni incontro con il presidente ucraino e ha lamentato l’assenza di Vladimir Putin. È la cartina di tornasole di due idee opposte di pace e di ordine mondiale: da una parte il tentativo europeo di contenere l’instabilità garantendo la sovranità ucraina; dall’altra, il desiderio trumpiano di tornare a un ordine “concertato” tra grandi potenze, magari con Mosca rilegittimata.
La nostalgia per Yalta da parte dell’ex presidente americano, e il suo disprezzo per l’unilateralismo morale europeo, segnalano una divergenza strategica profonda: Trump vuole trattare direttamente con Mosca e Pechino, non passare dal filtro NATO o UE. Macron, invece, si aggrappa a quell’idea fragile ma ancora vitale di un’Europa autonoma, capace di gestire i conflitti senza essere ridotta a spettatrice.
Una guerra parallela
Il conflitto tra Israele e Iran, dunque, si sovrappone a un’altra guerra: quella tra due visioni del potere, della diplomazia e della legittimità occidentale. Trump e Macron non sono soltanto due leader in disaccordo: sono l’incarnazione vivente di due modelli geopolitici in collisione.
Nel mezzo, l’Occidente diventa teatro di una guerra parallela, dove gli alleati si confrontano con più acrimonia dei nemici, e dove la sfida più grande è decidere chi, davvero, abbia il diritto di rappresentare la voce dell’Occidente nel nuovo Medio Oriente multipolare.
In questo contesto, la frase “Macron si sbaglia sempre” smette di essere una semplice offesa. Diventa un atto d’accusa contro l’idea stessa di diplomazia multilaterale. E forse, proprio per questo, dice molto più su Trump che sul presidente francese.