Togliere risorse alla cultura significa togliere respiro al Paese
Dopo il discorso di Leone XIV, una domanda per l’Italia: che futuro vogliamo per la settima arte?
Nel silenzio raccolto della Sala Clementina, il discorso di Papa Leone XIV ai professionisti del cinema ha avuto il tono di una carezza e la forza di una scossa.
Niente nostalgia, niente moralismi: solo una grande, limpida fiducia nel cinema come luogo dell’umano.
Il Papa lo dice con una frase che meriterebbe di entrare nei manuali di estetica contemporanea:
“Il cinema mette in movimento la speranza.”
E non è un’iperbole.
La settima arte, nata come divertimento ottocentesco, è diventata nel Novecento uno dei linguaggi fondamentali con cui l’uomo interroga sé stesso: la fragilità, il dolore, l’amore, la memoria, la fede, la morte. Il cinema non è l’evasione che molti liquidano come “intrattenimento”: è una soglia in cui luci e ombre – fisiche e interiori – si incontrano, educano lo sguardo, restituiscono parole nuove alle inquietudini di sempre.
Il cinema che muore e quello che resiste
Eppure, proprio mentre il Papa parla con lucidità di questo “pellegrinaggio dell’immaginazione”, fuori dalle mura vaticane accade altro: le sale chiudono, i fondi statali si assottigliano, i territori diventano deserti culturali, le comunità perdono luoghi di incontro.
Da mesi il mondo del cinema italiano denuncia una lenta ma costante erosione dei finanziamenti, con ripercussioni sulle produzioni indipendenti, sul cinema d’autore, sui circuiti d’essai e su quel tessuto di piccole sale che costituisce il cuore culturale di molti quartieri.
La logica dominante è semplice e pericolosa: si finanzia ciò che “funziona”, non ciò che serve.
È la stessa deriva che Leone XIV richiama parlando delle piattaforme digitali: l’algoritmo non chiede senso, chiede performance.
L’arte non è un algoritmo.
Leone XIV
Un Paese che taglia sulla cultura – soprattutto in un settore già fragile come il cinema – sta dicendo che il futuro non gli interessa.
Che lo sguardo può rimpicciolirsi. Che la speranza può aspettare.
Le sale non sono negozi: sono presidi umani
Il Papa parla della sala cinematografica come di un “cuore pulsante” per le città.
E ha ragione: una sala di quartiere non è solo uno schermo, è una comunità.
Le file alla cassa, le reazioni condivise, il dibattito all’uscita, il silenzio che precede la proiezione: sono frammenti di un legame sociale che nessuna piattaforma può sostituire.
Quando chiude un cinema:
- diminuisce la vita culturale,
- aumenta la solitudine,
- si impoverisce il tessuto urbano.
Siamo sicuri che sia questo il risparmio di cui abbiamo bisogno?
Siamo certi che, nella crisi educativa e relazionale che il Paese vive, proprio la cultura debba essere l’ambito da comprimere?
La domanda non riguarda gli “addetti ai lavori”.
Riguarda tutti noi.
L’arte non consola: interroga
Leone XIV chiede ai cineasti di non evitare il dolore del mondo: guerre dimenticate, povertà nascoste, dipendenze, ferite interiori.
Una richiesta che – paradossalmente – va contro certe tendenze del mercato, che preferisce l’adrenalina alla profondità, la semplificazione al conflitto, lo stereotipo alla complessità.
Il Papa ricorda che la bellezza non è evasione, ma invocazione.
Il cinema non consola soltanto: educa lo sguardo
Leone XIV
E che un’opera artistica, quando è autentica, è un atto d’amore verso la verità dell’uomo. È una visione alta, ma non ingenua.
Una visione che contiene anche una critica implicita al consumo “veloce” delle immagini, alla bulimia audiovisiva che frammenta il tempo, che impedisce l’ascolto, che affatica lo spirito.
Perché l’Italia dovrebbe ascoltare questo discorso
In un Paese dove troppo spesso la cultura viene trattata come un costo e non come un investimento, la voce del Papa può essere un’occasione preziosa. Non si tratta di chiedere privilegi o protezioni.
Si tratta di riconoscere che: un film può educare più di tante parole, una sala può fare comunità più di molte iniziative sociali, una narrazione ben fatta può toccare ferite che restano mute altrove.
Il Papa parla al cinema, ma è evidente che parla anche all’Italia: non spegnete i luoghi della luce proprio mentre cresce il buio del mondo.
Il cinema come prova di sinodalità civile
C’è un momento del discorso in cui Leone XIV elenca – quasi con tenerezza – tutte le figure coinvolte nella creazione di un film: dai tecnici agli elettricisti, dai montatori ai runner, dagli sceneggiatori ai costumisti.
È un piccolo “trattato di sinodalità” laica. Un film nasce solo se ognuno mette il proprio talento a servizio degli altri.
Non esistono geni solitari, ma comunità di lavoro.
In tempi di polarizzazioni e personalismi, il cinema ci offre una parabola di umiltà condivisa.
Un appello per l’Italia
Alla fine, il Papa non benedice il cinema come un passatempo, ma come un ministero laico di umanità: artigiani della speranza, custodi dello sguardo, narratori del possibile.
Per questo, l’editoriale non può che terminare con una domanda alle istituzioni, ai governi, ai territori: vogliamo un Paese che investe nel futuro o un Paese che lo riduce? Il taglio alla cultura è un taglio alla democrazia. Il taglio al cinema è un taglio alla speranza.
Ascoltare Leone XIV non significa sacralizzare il cinema.
Significa ricordare che, tra le tante cose che fanno respirare un popolo, la bellezza è una delle più necessarie.
Il resto sono ombre su uno schermo spento.
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Nella foto: Leone XIV saluta Monica Bellucci
Papa Prevost ha accolto in Vaticano circa centosessanta rappresentanti del mondo del cinema, da attori a registi, da sceneggiatori a maestranze, per un incontro dedicato al dialogo tra Chiesa e settima arte. Nella Sala del Palazzo Apostolico, il Pontefice ha salutato figure di primo piano del panorama italiano – tra cui Monica Bellucci, Luca Barbareschi, Sergio Castellitto, Maria Grazia Cucinotta, Chiara Francini, Matteo Garrone, Ferzan Ozpetek, Giacomo Poretti, Stefania Sandrelli e Giuseppe Tornatore – e star internazionali come Cate Blanchett e Viggo Mortensen. Una giornata simbolica, scandita da strette di mano e scambi di parole, in cui il Papa ha incoraggiato gli artisti a fare del cinema un linguaggio capace di raccontare l’umano e di promuovere messaggi di pace.
