Alla vigilia dei suoi 70 anni, Leone XIV confida di vivere il papato come una “curva di apprendimento”. È un messaggio controcorrente: la Chiesa non ha bisogno di un capo carismatico, ma di un padre che sappia farsi fratello, capace di confermare nella fede proprio attraverso l’umiltà.

«Il ruolo di papa è nuovo per me. Sto imparando molto». Questa frase, che il nuovo pontefice Leone XIV ha consegnato alla giornalista Elise Ann Allen nell’intervista anticipata dal quotidiano peruviano El Comercio, dice più di mille analisi. Non è la dichiarazione di un politico alle prime armi, ma il riconoscimento evangelico che il ministero di Pietro non è mai “posseduto”: si riceve, giorno dopo giorno, come dono e responsabilità.

«Il ruolo di papa è nuovo per me. Sto imparando molto». Questa frase, che il nuovo pontefice Leone XIV ha consegnato alla giornalista Elise Ann Allen nell’intervista anticipata dal quotidiano peruviano El Comercio, dice più di mille analisi. Non è la dichiarazione di un politico alle prime armi, ma il riconoscimento evangelico che il ministero di Pietro non è mai “posseduto”: si riceve, giorno dopo giorno, come dono e responsabilità.

L’umiltà come stile petrino

Il nuovo papa, al secolo Robert Prevost, parla della sua “curva di apprendimento” non come segno di debolezza, ma come cifra di autenticità. È la stessa umiltà che già Francesco aveva espresso nell’esordio del suo pontificato, quando si presentò come “vescovo di Roma”. Leone XIV, cresciuto tra Chicago e il Perù, porta dentro di sé questa doppia anima: americana e latinoamericana. Non la vive come tensione, ma come ricchezza, ricordando che metà del suo ministero è maturato in terra andina. Qui si intravede un primo tratto del suo pontificato: la volontà di essere ponte tra culture, continenti, sensibilità ecclesiali.

Un papa che ascolta

L’intervista mostra un papa che si riconosce a suo agio nella dimensione pastorale – “ascoltare tutti, ovunque e comunque” – ma che non nasconde la novità del ruolo globale che ora gli compete. È la consapevolezza che, nel mondo della comunicazione istantanea e delle crisi geopolitiche intrecciate, il papa non è solo guida della Chiesa ma anche interlocutore politico internazionale. Leone XIV lo dice con sincerità: non si sente sopraffatto, ma sfidato. Qui ritorna la logica del Concilio Vaticano II: la Chiesa non ha paura del mondo, ma vi entra con la forza del Vangelo.

Pace e disarmo della polarizzazione

Particolarmente significative sono le parole sulla guerra in Ucraina. Leone XIV distingue con chiarezza tra il ruolo della Santa Sede come voce morale che invoca la pace e l’illusione di un’immediata mediazione diplomatica. Realismo e profezia si intrecciano: non si tratta di sedersi oggi al tavolo, ma di alimentare la convinzione che “c’è un’altra via” oltre la violenza. È un’eredità che raccoglie tanto la Pacem in Terris di Giovanni XXIII quanto la Fratelli tutti di Francesco, dove la pace non è un’utopia ma il frutto di relazioni giuste.

Leone XIV allarga il discorso alla polarizzazione globale: politica, sociale, perfino ecclesiale. Ne coglie le radici economiche – la forbice scandalosa tra super-ricchi e lavoratori – e quelle culturali – la perdita di senso dei valori fondamentali della vita e della famiglia. È la diagnosi di un pastore che non teme di guardare in faccia le ferite del mondo.

Sinodalità come antidoto

Il papa torna con forza sulla sinodalità: non un parlamento, non un ridimensionamento dell’autorità episcopale, ma un atteggiamento spirituale che insegna alla Chiesa ad “ascoltarsi, rispettarsi, camminare insieme”. In questo senso, Leone XIV vede la sinodalità come l’antidoto più efficace alla polarizzazione, dentro e fuori la comunità ecclesiale. È un’eco di quanto Paolo VI aveva intuito al termine del Concilio: la Chiesa si comprende solo in dialogo, dentro e fuori di sé.

L’intervista di Leone XIV, a pochi mesi dall’elezione, restituisce il ritratto di un papa che non si sente “padrone” del ruolo, ma pellegrino dentro il ministero petrino. In questo c’è un segno dei tempi: la Chiesa non cerca leader invulnerabili, ma pastori che sappiano confessare la propria fragilità e affidarsi allo Spirito. È in questa disponibilità ad “imparare” che si misura la forza del nuovo pontefice.

Non un papa che pretende di sapere già tutto, ma un papa che chiede alla Chiesa e al mondo di camminare insieme, nella convinzione che — come ricorda lui stesso — il successore di Pietro è chiamato anzitutto a “confermare i fratelli nella fede”. E questa conferma, oggi, passa dalla semplicità di chi sa dire: “Sto imparando molto”.