Una telefonata di luce: Leone XIV, Hanukkah e il dovere della pace
Alla vigilia del Natale e nel tempo di Hanukkah, Papa Leone XIV ha scelto la via più semplice e più esigente: una telefonata. Nel colloquio con il presidente israeliano Isaac Herzog, il Pontefice ha intrecciato la condanna senza ambiguità dell’antisemitismo, il dolore per le violenze che attraversano il mondo e un appello ostinato alla pace e agli aiuti umanitari, ricordando che la luce delle feste religiose non serve a consolare, ma a responsabilizzare la storia.
E mentre Roma si prepara al Natale, con le sue luci discrete e il silenzio carico di attesa dell’Avvento, un filo sottile ma robusto attraversa il Mediterraneo. È il filo del dialogo, della memoria e della responsabilità morale. Il colloquio telefonico tra Papa Leone XIV e il presidente dello Stato d’Israele, Isaac Herzog, si iscrive precisamente in questo orizzonte: non un gesto di cortesia diplomatica, ma un atto simbolico denso di significato, collocato volutamente nel tempo delle feste, quando le religioni tornano a parlare al cuore dell’uomo.
Il Papa ha voluto che il Natale cristiano incrociasse la festa ebraica di Hanukkah, quasi a ricordare che la luce non appartiene a una sola tradizione, ma è una vocazione condivisa. Hanukkah, la “festa delle luci”, ricorda un evento fondativo per l’ebraismo: la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme nel II secolo a.C., dopo la profanazione da parte dei Seleucidi. Secondo la tradizione, l’olio puro sufficiente per un solo giorno alimentò miracolosamente la menorah per otto giorni, il tempo necessario a prepararne di nuovo. Da allora, accendere le luci di Hanukkah significa affermare che la fedeltà, la libertà religiosa e la speranza possono resistere anche quando tutto sembra spegnersi.
Nella tradizione ebraica il problema dell’olio nasce da un fatto storico preciso.
Quando, nel 164 a.C. circa, i Maccabei riconquistarono Gerusalemme e rientrarono nel Tempio, lo trovarono profanatodopo l’occupazione seleucide di Antioco IV Epifane. Tutto ciò che era destinato al culto era stato contaminato, compreso l’olio per la menorah, il grande candelabro a sette bracci che doveva ardere continuamente davanti al Signore (cfr. Es 27,20–21).
Per la legge ebraica, quell’olio doveva essere: puro, non contaminato, sigillato dal sommo sacerdote. Nel Tempio saccheggiato quasi tutto l’olio risultava impuro, perché toccato dai pagani o usato per riti idolatrici. Ne fu trovato solo un piccolo recipiente, ancora sigillato, sufficiente per un solo giorno di accensione.
Il problema era che preparare nuovo olio puro richiedeva otto giorni: tempo necessario per raccogliere le olive, spremerle e compiere i rituali di purificazione. Secondo la tradizione rabbinica, proprio qui avvenne il miracolo: quell’olio, che avrebbe dovuto durare una sola notte, rimase acceso per otto giorni, fino a quando l’olio nuovo fu pronto.
Per questo Hanukkah dura otto giorni e per questo si accendono le luci: non per celebrare una vittoria militare, ma per ricordare che la fedeltà al culto e alla Legge non si spegne anche quando le risorse sembrano finite.
È un dettaglio piccolo – una mancanza di olio – ma teologicamente potentissimo: quando ciò che è essenziale viene profanato, la ricostruzione comincia sempre da una luce fragile, custodita con cura.
Non è casuale che questo richiamo alla luce avvenga mentre il mondo è attraversato da nuove ombre. Il riferimento del Pontefice al recente attentato antisemita di Sydney rompe ogni ambiguità: l’antisemitismo non è un residuo del passato, ma una ferita aperta della modernità. Leone XIV lo ha detto con chiarezza, riaffermando la condanna senza riserve della Chiesa cattolica verso ogni forma di odio antiebraico, un odio che non colpisce solo le comunità ebraiche, ma avvelena l’intero corpo sociale, svuotando la convivenza dei suoi fondamenti etici.
In questo senso, il dialogo con il presidente Herzog va letto anche come un atto di vigilanza morale. Non c’è pace possibile – ha ricordato il Papa – senza perseveranza nei processi di riconciliazione, senza il coraggio di tenere aperti canali fragili ma necessari. E non c’è pace credibile se non si accompagna alla concretezza degli aiuti umanitari, soprattutto in una regione dove la sofferenza dei civili rischia di diventare una statistica.
Natale e Hanukkah, così vicini nel calendario e così diversi nelle forme, convergono in un messaggio essenziale: la luce non è evasione spirituale, ma responsabilità storica. Accendere una candela, per ebrei e cristiani, significa assumersi il compito di non abituarsi al buio. In questo intreccio di feste, il colloquio tra Leone XIV e Isaac Herzog diventa allora più di una telefonata: è un promemoria per il mondo, affinché la memoria non si trasformi in rancore e la fede non smarrisca il coraggio della pace.
