“L’Ucraina” decripta i segreti dei sottomarini di Mosca
Come un’operazione di hacking – ufficialmente ucraina, strategicamente americana – ha colpito il cuore della triade nucleare russa
Il fatto
Il 24 luglio Vladimir Putin, con tono solenne, presentava il nuovo sottomarino nucleare strategico Knyaz Pozharsky. Lo definiva “un evento storico” e “un simbolo di una marina moderna e potente”.
Dieci giorni dopo, quei sistemi informatici sono stati violati e documenti classificati sono finiti online: schede tecniche, procedure operative, elenchi dell’equipaggio, registri di missione.
Non solo il Pozharsky, ma l’intera classe Borei-A — colonna portante della deterrenza nucleare marittima di Mosca — è stata esposta come in una radiografia strategica.
Perché è un colpo devastante
La flotta di superficie russa è già tecnologicamente inferiore a molte marine europee (compresa quella italiana) e incomparabile con quella statunitense. I sottomarini strategici erano l’ultimo strumento navale in grado di garantire deterrenza globale.
Colpirli sul piano della sicurezza informatica significa toccare il nervo scoperto della proiezione di potenza russa.
In intelligence è come scoprire le carte coperte del nemico: non basta avere un’arma potente, se chi ti fronteggia ne conosce i punti ciechi.
Merito a Kiev, regia a Washington
Il racconto ufficiale attribuisce l’operazione all’intelligence militare ucraina (HUR). E non è del tutto falso: le unità cyber di Kiev hanno sviluppato notevoli capacità in due anni e mezzo di guerra.
Ma dietro c’è con ogni probabilità la mano invisibile della rete d’intelligence statunitense e NATO, che da decenni monitora ogni spostamento e sistema della flotta russa, sopra e sotto il mare.
Attribuire il successo a Kiev serve a due scopi:
- Umiliare il Cremlino — Putin deve incassare il colpo da un Paese che voleva sottomettere in pochi giorni.
- Rafforzare la narrativa occidentale — L’Ucraina appare come attore capace e indipendente, non semplice pedina di Washington.
In realtà, senza il supporto americano — infrastrutture, strumenti di decrittazione, intelligence satellitare — questa operazione avrebbe avuto probabilità di successo molto più basse.
Il parallelo con la Guerra Fredda
Negli anni ’80, la superiorità tecnologica americana — dal programma “Star Wars” ai sistemi satellitari, fino alla nascente rivoluzione informatica — rese evidente il divario irrecuperabile con l’URSS.
Quel gap tecnologico, unito alla crisi economica sovietica, accelerò il collasso dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda.
Oggi, la guerra cibernetica in Ucraina ripropone lo stesso schema: chi controlla l’informazione e il cyberspazio mina le fondamenta della deterrenza nemica senza sparare un colpo. Il 1989 fu la caduta di un muro fisico e politico; il 2024 potrebbe essere ricordato come la caduta di un “muro digitale” sulle illusioni strategiche di Mosca.
L’effetto negoziale
Un colpo di questo tipo non è solo umiliazione: è anche leva diplomatica. Se il Cremlino sa che una delle sue ultime carte vincenti può essere “letta” e neutralizzata, la sua capacità di deterrenza diminuisce e l’interesse a trattare può crescere.
La deterrenza nucleare vive di percezione: se l’avversario non crede più alla tua invulnerabilità, il tuo potere negoziale si riduce drasticamente.
Lezioni dal fronte digitale
Questo episodio conferma che nessuna piattaforma militare, per quanto sofisticata, è immune a un attacco ben pianificato nel dominio cibernetico.
Il mare, per secoli teatro di flotte e cannoni, oggi è anche un campo di battaglia fatto di tastiere, server e algoritmi.
E in questa partita, almeno per ora, la NATO ha dimostrato di saper giocare meglio.