Nel Messaggio per la LIX Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2026), Papa Leone XIV riprende il saluto pronunciato la sera della sua elezione dalla loggia di San Pietro — «La pace sia con tutti voi» — e lo trasforma in una visione teologica e politica insieme: una pace “disarmata e disarmante”, capace di attraversare i conflitti del nostro tempo. La scelta della Santa Sede di diffondere il testo anche in ucraino e in russo segnala un’attenzione particolare al dramma dell’Europa orientale e alla ricerca di una pace fondata non sulla paura, ma sulla fiducia.
C’è un filo rosso che attraversa il pontificato di Leone XIV fin dal suo primo, quasi disarmato apparire sulla loggia centrale della Basilica di San Pietro. Quel saluto semplice, antico e potentissimo — «La pace sia con tutti voi» — non fu allora un inciso liturgico né una formula di circostanza, ma una scelta di campo. Oggi, nel Messaggio per la LIX Giornata Mondiale della Pace, quel filo diventa trama teologica, pastorale e geopolitica insieme.
Il Papa non inventa nulla: riprende le parole del Risorto la sera di Pasqua, «Pace a voi» (Gv 20,19.21). Ma, come spesso accade nei momenti decisivi della storia ecclesiale, la ripetizione è carica di senso. È un tornare all’origine per dire che la pace cristiana non è una strategia, né un equilibrio armato, né una tregua armistiziale: è una presenza che trasforma, una forza mite che disarma perché nasce da un amore che non ha bisogno di difendersi.
Colpisce che Leone XIV senta il bisogno di ricordare esplicitamente che quel saluto lo ha voluto pronunciare «fin dalla sera della mia elezione a Vescovo di Roma». Come a dire: ciò che oggi viene articolato in un lungo e denso Messaggio non è una svolta improvvisa, ma la maturazione coerente di un’intuizione iniziale. La pace, per questo Papa, non è un capitolo tra gli altri del magistero sociale: è il tono fondamentale del suo parlare e del suo governare.
Non è un caso, allora, che il testo sia stato tradotto e diffuso dalla Sala Stampa Vaticana non solo nelle lingue consuete, ma anche in ucraino e in russo. È un gesto che vale più di molte dichiarazioni. In un’Europa orientale ferita, dove le parole sono spesso diventate armi e la memoria un campo minato, il Papa sceglie di parlare a entrambi i popoli nella loro lingua. Non per equidistanza diplomatica, ma per fedeltà evangelica: la pace di Cristo non conosce confini linguistici né blocchi geopolitici.
Nel Messaggio, la pace viene definita «disarmata e disarmante». Disarmata, perché la via di Gesù rifiuta la violenza anche quando sembra l’unica risposta “realistica”. Disarmante, perché mette in crisi le narrazioni dominanti, quelle che chiamano prudenza ciò che è paura e sicurezza ciò che è accumulo di armi. Leone XIV osa ricordare, con dati alla mano, l’aumento vertiginoso delle spese militari globali e la tentazione di educare le nuove generazioni a una cultura del sospetto e del riarmo. Ma lo fa senza toni ideologici, affidandosi alla forza sobria della tradizione: Agostino, Giovanni XXIII, il Concilio, Francesco d’Assisi.
C’è, in queste pagine, una consapevolezza lucida della tragedia contemporanea: l’intelligenza artificiale applicata alla guerra, la deresponsabilizzazione morale dei decisori, la trasformazione delle parole e persino dei pensieri in armi. E tuttavia non c’è rassegnazione. Al contrario, il Papa insiste che la pace non è un’utopia lontana, ma una realtà fragile da custodire, come una fiamma nella tempesta.
Forse è proprio questo il tratto più originale del Messaggio: la pace non come obiettivo astratto, ma come cammino già iniziato, come presenza che chiede di essere riconosciuta. «Prima di essere una meta, la pace è una presenza», scrive Leone XIV. È una frase che potrebbe riassumere l’intero pontificato nascente.
In un tempo che sembra prepararsi alla guerra come a una fatalità, il Papa sceglie di sussurrare «per sempre» là dove il mondo grida «basta». E lo fa ripartendo da quel saluto pasquale pronunciato sulla loggia di San Pietro, ora consegnato, in russo e in ucraino, alle terre dove più urgente è il bisogno di credere che la pace non sia un sogno ingenuo, ma una possibilità reale. Disarmata, sì. Ma proprio per questo, radicalmente disarmante.
