Dopo Sharm el-Sheikh, il difficile equilibrio tra immagini e coscienza
La scena è solenne: i leader mondiali a Sharm el-Sheikh, corone di fiori, inni, parole di pace.
Tra loro, Giorgia Meloni, unica donna sul palco, simbolo — dicono alcuni — di una nuova diplomazia femminile.
Eppure, dietro le luci del cerimoniale, resta una domanda che pesa più delle fotografie: può essere credibile chi parla di pace mentre continua a sostenere la guerra?
La premier italiana ha pronunciato a Sharm parole misurate, di “dialogo” e “riconciliazione”, ma senza un solo riferimento diretto a Gaza, né ai bambini mutilati o orfani che ancora vengono estratti dalle macerie.
Molti di loro hanno l’età di Ginevra, sua figlia.
E questo solo pensiero basterebbe a dare un volto concreto alla parola “pace”.
In questi mesi, la Corte penale internazionale ha ricevuto denunce per genocidio che citano anche governi occidentali, accusati di complicità morale per il continuo invio di armi e il silenzio su bombardamenti che colpiscono civili, scuole, ospedali.
L’Italia è tra i Paesi che, in sede ONU, si sono spesso astenuti o opposti alle risoluzioni per un cessate il fuoco immediato.
E in questo silenzio, la parola “pace” rischia di diventare una formula diplomatica, non un impegno etico.
Nel frattempo, la premier promuove negli Stati Uniti la versione inglese della sua autobiografia, presentata con gli elogi di Donald Trump.
Un gesto legittimo, ma rivelatore: segno di una politica sempre più attenta alla costruzione del consenso internazionaleche non alla coerenza tra parole e gesti.
La pace, però, non è un’operazione di marketing.
Non nasce dai riflettori, ma dalle ferite curate in silenzio.
Le vere donne di pace non siedono ai vertici, ma camminano nel fango delle guerre.
Sono le mediche di Gaza, le madri israeliane e palestinesi che marciano insieme, le religiose africane che distribuiscono pane tra le bombe, le insegnanti ucraine che riaprono scuole sotto le macerie.
Non hanno visibilità, ma autorità morale.
E ricordano che la pace non si dichiara: si pratica.
Come ha ricordato Papa Leone XIV al Quirinale, “la pace nasce da cuori disarmati, non da equilibri di potenza”.
E San Francesco d’Assisi ci ha insegnato che la pace è anzitutto conversione interiore, spogliazione dell’ego e servizio all’altro.
Perché chi governa davvero in spirito di pace non è chi rappresenta la nazione più forte, ma chi si lascia toccare dal dolore dei più deboli.