L’abbordaggio in acque internazionali della nave «Madleen», parte della Freedom Flotilla Coalition diretta a Gaza, è l’ennesimo capitolo di un blocco che soffoca la popolazione palestinese. Di fronte all’arresto degenerato di attivisti e suppellettili umanitarie, è urgente tornare a puntare l’attenzione sull’urgenza di dignità e diritti, non sulla forza della Marina.

La notte tra l’8 e il 9 giugno, la nave Madleen, simbolo di una flotta pacifica diretta a Gaza, è stata intercettata e assaltata in acque internazionali dalla marina israeliana. A bordo: attivisti internazionali, tra cui Greta Thunberg, volontari non violenti e rifornimenti di prima necessità — latte in polvere, medicinali, kit igienici — destinati a una popolazione sotto assedio da oltre quattro mesi  . Il governo di Tel Aviv ha reagito definendo la missione “azione dell’odio” e autorizzando l’uso della forza per impedire l’attracco a Gaza .

Ma cos’è successo? La Madleen è stata costretta a dirigersi verso Ashdod, con l’equipaggio sequestrato e i volontari in procinto di essere rimpatriati  . Secondo le autorità israeliane, si è trattato di un atto legittimo nel quadro del blocco navale. Secondo gli organizzatori, si è consumato un atto arbitrario in violazione del diritto internazionale  .

Una missione simbolica, un atto di responsabilità

La Freedom Flotilla Coalition ha ripetutamente definito questa impresa un atto di resistenza civile nonviolenta volto a rompere “l’assedio illegale e genocida” di Gaza  . Dietro le facciate del gesto simbolico — che ispira a solidarietà internazionale — c’è la denuncia potente della fame sistematica che ha colpito la Striscia: oltre l’85 % della popolazione è in pericolo, molti bambini languono per mancanza di latte e medicine .

L’intervento militare, per quanto tecnico, è stato un altro segno della militarizzazione dell’accesso all’aiuto. Rubare ai bambini un’assistenza minima è un atto contro l’umanità, non una misura di sicurezza. È necessario distinguere tra blocco e fame, tra sicurezza e ignoranza, tra le leggi e il cuore.

L’Europa chiamata a reagire

La flottiglia non è un caso isolato: solo il mese scorso, una delle imbarcazioni era stata danneggiata da droni armati al largo di Malta — sempre accreditata alle forze israeliane  . Davanti a questa escalation, è tempo che l’Unione europea passi dalle parole ai fatti.

L’UE può e deve proteggere il diritto internazionale di navigazione umanitaria, impedire che attivisti vengano consegnati a regimi militari, imporre embargo sulle armi, condizionare accordi commerciali con Israele, e sanzionare ogni violazione del diritto umanitario  .

L’urgenza di un cambio di paradigma

A Gaza, il blocco marittimo è la punta dell’iceberg di una strategia politica che contiene un attacco alla dignità umana. Non è solo carne né unguenti a mancare, ma la speranza stessa di una convivenza possibile. Ignorando la vita in favore della strategia, si riscrive una politica al di fuori della civiltà.

La flottiglia era un invito alla riconciliazione. È stata trasformata in un monito – che colora di nero anche le sponde del Mediterraneo e le nostre coscienze. Il compito dell’Occidente, e dell’Italia in particolare, è chiaro: non restare spettatori, ma reagire con politiche coraggiose. I diritti umani non si bandiscono perché scomodi.

La flottiglia non è una provocazione, ma un gesto di parola incarnata. Israele ha scelto l’hard power in mare, senza tenere conto del soft power del coraggio e della compassione. I nostri governi, la comunità internazionale e le nostre coscienze non possono tacere. Perché dove si nega l’aiuto umanitario, si nega l’umanità stessa.