Un rapporto devastante del Palestinian Center for Human Rights documenta torture sistematiche inflitte ai gazawi nei centri di detenzione israeliani. Tra le testimonianze: pestaggi, scosse elettriche, nudità forzata, abusi sessuali e mutilazioni. Ma ciò che grida più forte è l’impunità. E il silenzio dei governi occidentali.

Le mani legate dietro la schiena, il corpo appeso come carne da macello, le urla coperte dal frastuono di una musica assordante. Questa non è una prigione clandestina di una dittatura del passato: è Gaza, oggi. È Israele, oggi. È il catalogo degli orrori raccolto nel nuovo rapporto del Palestinian Center for Human Rights (Pchr), che documenta — su 129 pagine e oltre cento testimonianze — la sistematica disumanizzazione dei palestinesi arrestati dopo il 7 ottobre 2023. Civili, donne, anziani, bambini: torturati nei centri militari e nelle carceri israeliane.

Percossi con spranghe, insultati, minacciati, costretti a denudarsi, molestati sessualmente, lasciati senza cibo né assistenza medica. Alcuni hanno raccontato di essere stati drogati e sottoposti a elettroshock, altri di essere stati legati a ganci “come mucche al mattatoio”. Nessuna accusa formale, nessuna possibilità di contatto con avvocati, nessun rispetto dei più basilari diritti umani.

Una macchina della tortura, scrivono i legali del Pchr, “standardizzata e pianificata, non frutto di eccessi isolati ma parte di una politica deliberata di annientamento”. È questo che rende il dossier uno degli atti più gravi consegnati alla Corte penale internazionale (Cpi) da inizio conflitto: gli abusi non sono incidenti, ma tasselli coerenti di un disegno genocida, volto a “distruggere fisicamente e psicologicamente un intero popolo”.

Già si sapeva delle condizioni disumane nei campi di detenzione: celle sovraffollate, fame, sete, isolamento, urla, sangue. Ma qui si va oltre: la tortura è diventata linguaggio ordinario di guerra. Non mancano, nelle testimonianze, frasi-simbolo del sadismo legalizzato: “Fatti curare da Sinwar”, rispondeva il medico di un centro militare a un detenuto pestato a sangue. Una donna denuncia di essere stata palpeggiata durante una perquisizione: nessuno ha raccolto la sua denuncia. Un uomo, pestato e denudato, racconta: “Ho perso me stesso”.

Le violenze sessuali, spesso invisibili perché le vittime tacciono per vergogna o paura, vengono definite nel rapporto “sottodimensionate rispetto alla realtà”. Perché il corpo palestinese non è solo terreno di tortura, ma strumento di umiliazione e dominio. Il corpo delle donne, in particolare, diventa teatro di un potere coloniale che si esprime con perversione e impunità.

E il tutto mentre i bombardamenti israeliani proseguono, con almeno 70 morti nelle ultime ore, tra cui 22 bambini, mentre Netanyahu annuncia l’invasione finale di Gaza e il mondo si distrae parlando d’altro. Come se tutto questo fosse inevitabile, necessario, persino giustificato. Come se i gazawi non fossero umani.

La società civile palestinese, nonostante sia sotto assedio, reagisce con un coraggio che chiama indignazione e mobilitazione: raccoglie prove, difende chi può, invoca giustizia. “Questo rapporto — spiega il giurista Triestino Mariniello — è un atto di resistenza morale e giuridica, la voce di un popolo che crede ancora nel diritto internazionale, quando tutto intorno lo ha tradito”.

La Corte penale internazionale ha già emesso mandati d’arresto per Netanyahu e Gallant. Ora si chiede che si aggiunga la contestazione di genocidio e che la giurisdizione universale venga attivata da ogni Stato che si dichiari democratico e garante dei diritti umani. Perché il crimine non ha bandiere, e non c’è giustificazione che possa assolvere l’orrore.

Nel frattempo, migliaia di palestinesi sono scomparsi nel nulla. Famiglie intere attendono notizie da mesi. E i pochi legali che hanno provato ad accedere alle carceri hanno ricevuto intimidazioni. Due avvocati, di recente, hanno abbandonato le cause per paura. E intanto, in quelle celle, la tortura continua. Con le porte chiuse. E con il silenzio complice dell’Occidente.


Perché se il diritto serve solo ai forti, non è giustizia. È dominio.