Il ricordo contro l’Iran dell’invenzione delle armi di distruzione di massa che giustificò la caduta di Saddam Hussein in Irak
«Ci sono cose che sappiamo, e cose che non sappiamo». Con queste parole oneste, ma scomode, Rafael Grossi, direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), ha cercato di riportare la verità su un terreno fragile ma essenziale: quello dei fatti, non delle paure. E lo ha fatto smentendo, pur con prudenza, due tra le narrazioni più esplosive del presente: quella di un Iran sul punto di produrre un’arma atomica e quella di un attacco preventivo “necessario” da parte di Israele, sostenuto in modo esplicito dal presidente Trump.
Non è la prima volta che la realtà viene piegata per giustificare l’uso della forza. Ma è la prima volta, in questo decennio di tensioni post-accordo sul nucleare iraniano, che il massimo garante delle ispezioni internazionali, davanti alle telecamere, afferma che non ci sono prove di un programma sistematico e attivo per la costruzione della bomba atomica da parte dell’Iran.
Parole che pesano. Perché giungono dopo l’operazione militare israeliana “Rising Lion” dello scorso 13 giugno, che ha colpito infrastrutture nucleari iraniane e provocato la morte di diversi funzionari militari. Parole che, ancora di più, mostrano quanto fragile sia l’equilibrio tra la verità e la retorica, tra il diritto alla difesa e l’arbitrio della forza.
Il rischio che stiamo correndo come comunità internazionale è grave: che la menzogna diventi la miccia del conflitto, e che il silenzio delle prove venga riempito dalla voce del sospetto. È già accaduto. E sappiamo come finisce. Le dichiarazioni di Donald Trump – «non mi interessa cosa dice l’intelligence, penso che ci siano vicini» – non sono solo superficiali, ma potenzialmente irresponsabili, perché sembrano legittimare l’azione militare preventiva come se fosse fondata su intuizioni, non su verifiche.
E mentre il direttore dell’Aiea cerca di mantenere un equilibrio tra rigore e prudenza, riconoscendo che il materiale arricchito esiste ma non basta a fare una bomba, la Repubblica Islamica accusa l’agenzia stessa di aver preparato il terreno per l’attacco israeliano. Un cortocircuito pericoloso, in cui chi dovrebbe garantire il disarmo viene accusato di complicità. Ma anche un segnale di quanto sia urgente una diplomazia trasparente, e non un gioco di specchi.
Come ricorda spesso il Papa, e come ribadiva anche Francesco nel suo discorso ai membri del corpo diplomatico nel gennaio 2023, la pace non può mai essere costruita sull’inganno o sull’oppressione. Ogni nazione ha diritto alla sicurezza, ma nessuna ha il diritto di colpire sulla base del “potrebbe essere”. L’etica della sicurezza non può diventare l’alibi della sopraffazione.
In questo scenario, l’Europa e la comunità cristiana non possono tacere. Siamo chiamati a essere custodi della verità e promotori della pace, anche quando la verità non è conveniente, e la pace sembra troppo fragile. In gioco non c’è solo l’Iran o Israele. In gioco c’è il principio che nessuna guerra preventiva possa sostituire la pazienza della verifica, il diritto alla sovranità, la forza del diritto. E, in ultima analisi, la coscienza dell’umanità.