Il bombardamento sistematico delle città ucraine non è solo rappresaglia: è una mossa strategica per il tempo lungo del conflitto. Putin punta all’usura dell’Occidente e alla rimodulazione del sistema di sicurezza europeo.
Il 7 giugno 2025 non è una data qualsiasi nel calendario della guerra in Ucraina. È il giorno in cui la Russia ha lanciato su Kharkiv il più massiccio attacco dall’inizio del conflitto, con 48 droni Shahed, missili balistici e bombe aeree guidate. L’obiettivo militare era nullo, ma l’impatto politico ed emotivo è stato calcolato con precisione chirurgica: tre civili morti, decine di feriti, tra cui bambini, edifici distrutti. Una città sotto assedio, un messaggio al mondo.
La giustificazione ufficiale di Mosca parla di “rappresaglia” contro l’Operazione Ragnatela del 1º giugno, in cui l’Ucraina ha colpito con 117 droni almeno cinque basi aeree russe. Una risposta proporzionata? No. Una risposta simbolica? Neppure. È una mossa strategica, parte di una guerra a più piani, in cui la violenza non è mai fine a sé stessa, ma serve un disegno geopolitico di lungo respiro.
Una guerra di attrito politico, non solo militare
L’azione russa del 7 giugno va letta alla luce di una precisa logica: la Russia ha abbandonato da tempo l’idea di una vittoria rapida. Ha invece abbracciato una guerra di logoramento in cui l’obiettivo è esaurire le risorse umane, psicologiche ed economiche dell’Ucraina e fiaccare il sostegno dell’Occidente. In questo schema, gli attacchi ai centri urbani non sono incidenti collaterali, ma strumenti di pressione multilivello.
Kharkiv è simbolica: città russofona, già bombardata nel 2022, è diventata il paradigma della resistenza urbana. Colpirla significa intaccare il morale dei civili, ma anche l’immagine di tenuta dell’Ucraina nei confronti dei suoi alleati. Non è un caso che l’attacco sia avvenuto pochi giorni dopo il dibattito occidentale sull’invio di nuove armi e l’utilizzo dei sistemi missilistici a lungo raggio in territorio russo. Putin ha voluto mostrare che la Russia può ancora colpire ovunque, quando vuole, e senza opposizione.
Il tempo come alleato di Putin
Il secondo obiettivo di Mosca è il tempo. La Russia scommette su un mondo stanco della guerra, su un’Europa divisa e su un’America distratta da una campagna elettorale che ha già riportato Donald Trump alla Casa Bianca. Il nuovo presidente ha fatto dichiarazioni ambigue: ha condannato il conflitto, ma ha anche affermato che Kiev ha provocato Mosca colpendo obiettivi russi. Il che, per Putin, è un semaforo verde.
Il Cremlino sa che, sul lungo periodo, il sostegno occidentale non è garantito. E sa che l’Ucraina, pur eroica, ha un problema strutturale di uomini e risorse. Così, la Russia gioca d’anticipo: attacca ora per avere più potere negoziale domani.
Non un’escalation, ma un messaggio strategico
Chi pensa che il 7 giugno segni l’inizio di una nuova escalation militare totale rischia di non vedere il quadro più ampio. Il bombardamento di Kharkiv è, in realtà, parte di una diplomazia della violenza. Mosca sta preparando il terreno per negoziati da posizione di forza, come ha fatto in passato in Siria e in Georgia: massacrare oggi per trattare domani.
Il Cremlino propone ora condizioni che equivalgono a una resa mascherata: ritiro ucraino da quattro province occupate, neutralità permanente, fine delle aspirazioni NATO. Inaccettabile per Zelensky, ma forse non per alcuni attori internazionali che, col passare del tempo, potrebbero considerare la pace — anche ingiusta — preferibile alla prosecuzione del conflitto.
L’Europa davanti al bivio
Per l’Europa, il segnale è chiaro. Putin sta dicendo: “Posso aumentare il costo della vostra sicurezza quando voglio”. In un momento in cui l’architettura di difesa europea è ancora fragile e in cui l’opinione pubblica è sempre più insofferente verso il costo della guerra, Mosca usa Kharkiv come leva psicologica.
Le risposte non possono più essere episodiche. La deterrenza richiede coerenza e una strategia di lungo periodo. L’alternativa è accettare che la Russia decida le regole del gioco, con la forza e con la paura.
L’attacco del 7 giugno non è una reazione impulsiva. È un tassello nella strategia russa per ridefinire l’ordine europeo e il ruolo della Russia nel mondo. Una strategia che usa la crudeltà come linguaggio diplomatico e la morte come strumento di trattativa. L’Occidente ha ancora tempo per rispondere. Ma non molto.