Giustizia sociale e bene comune nella prova della legge di bilancio
Le ferie non sono ancora finite, ma già si sente l’eco di una domanda che accompagnerà il Paese nei prossimi mesi: che manovra sarà? Non si tratta di un tecnicismo per addetti ai lavori. La legge di bilancio è lo strumento con cui si decide, concretamente, quale Paese vogliamo costruire: se una comunità che investe sulle persone e sul futuro, o una macchina che taglia, riduce, restringe.
Il ritorno dell’austerità
Il Piano strutturale di bilancio varato dal Governo e approvato dal Parlamento prevede sette anni di consolidamento, con tredici miliardi di tagli ogni anno. Una cifra che significa meno ospedali, meno ricerca, meno welfare, meno pensioni. Mentre l’Istat segnala già un calo del Pil nel secondo trimestre del 2025 (-0,1%), la tentazione è ripetere vecchie ricette di austerità che hanno già impoverito famiglie e territori.
La Dottrina sociale della Chiesa, da Quadragesimo Anno a Caritas in Veritate, ricorda che l’economia deve servire la persona, non viceversa. Ridurre la spesa sociale al minimo per rispettare vincoli contabili significa tradire quel principio del bene comune che la nostra Costituzione richiama e che la Chiesa propone come bussola universale.
Più armi, meno diritti?
Il nodo più grave è l’impegno ad alzare le spese militari fino al 5% del Pil. In un Paese che ancora soffre le ferite della pandemia e che fatica a garantire cure tempestive ai cittadini, è lecito chiedersi se sia questa la priorità.
Papa Francesco, in Fratelli Tutti, ammoniva: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato» (FT 261). Non è solo un tema morale, ma anche economico: ciò che viene speso in armamenti viene sottratto alla scuola, alla salute, all’assistenza.
L’esempio della Spagna mostra che altre strade sono possibili: salario minimo rivalutato, tetto ai prezzi dell’energia, tassazione degli extraprofitti, investimenti nelle rinnovabili. Politiche che hanno fatto crescere l’economia e ridotto le diseguaglianze.
Condoni e diseguaglianze
La promessa di tagliare l’Irpef e l’Ires, accompagnata dall’ennesima “rottamazione” delle cartelle fiscali, apre una domanda cruciale: chi pagherà il conto? Se si riducono le entrate e si condonano gli evasori, a sostenere la spesa resteranno i soliti noti: lavoratori dipendenti e pensionati.
È la fotografia di un Paese che premia chi evade e penalizza chi contribuisce onestamente. Eppure la Dottrina sociale è chiara: “Pagare le tasse è un dovere morale oltre che civile” (Compendio DSC, 355). Perché senza un sistema fiscale giusto non ci sono risorse per garantire i diritti fondamentali.
Una manovra senza cittadini?
Si parla di bonus settoriali e di nuove assunzioni nelle forze dell’ordine, ma ciò che rischia di mancare è una visione per le persone. Quale sostegno alle famiglie? Quale investimento per i giovani che studiano o cercano lavoro? Quale tutela per gli anziani soli?
La Populorum Progressio di Paolo VI ricordava che «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica» (PP 14). È sviluppo autentico solo se «rende più umana la vita» (PP 20). Una manovra che sacrifica welfare, pensioni, istruzione e sanità in nome dell’austerità e delle spese militari tradisce questa prospettiva.
Una scelta, non un destino
Non è vero che “non ci sono soldi”. Ci sono, ma si sceglie di destinarli altrove. Tassare gli extraprofitti, colpire i grandi patrimoni improduttivi, investire in transizione ecologica, innovazione e coesione sociale: sono scelte possibili, già praticate da altri Paesi.
Papa Francesco, in Evangelii Gaudium, lo ha detto con chiarezza: «L’inequità è la radice dei mali sociali» (EG 202). E se la legge di bilancio non affronta l’iniquità, finisce per rafforzarla.
La manovra che serve
La vera sfida non è rispettare un vincolo contabile, ma rafforzare il vincolo sociale che tiene unito il Paese. Servono investimenti che restituiscano fiducia e speranza: nella sanità pubblica, nella scuola, nella famiglia, nel lavoro. Perché un’Italia che mette al centro la dignità della persona è anche un’Italia più forte, capace di affrontare le crisi globali senza frantumarsi al suo interno.
Sarà, dunque, una manovra che divide o una manovra che unisce? Che taglia i diritti o che li rafforza? Che moltiplica le armi o che cura le ferite sociali? La risposta non è scritta nei numeri, ma nella scelta politica.
E la politica, ricorda la Chiesa, è la più alta forma di carità se si esercita per il bene comune.