Dopo le parole del presidente Herzog sulla violenza dei coloni, si apre un varco di verità che Israele non può ignorare

«Gli attacchi dei coloni contro i palestinesi sono scioccanti e devono finire». Con queste parole, il presidente israeliano Isaac Herzog ha spezzato il silenzio di troppi mesi, chiamando le cose con il loro nome. Non “incidenti”, non “tensioni locali”, ma violenza organizzata, crescente e inaccettabile.

Da settimane, la Cisgiordania vive un’escalation di aggressioni contro comunità palestinesi: case bruciate, uliveti distrutti, villaggi assediati. È una violenza che non nasce dal nulla, ma da un terreno inquinato da anni di impunità, da una politica che ha spesso chiuso un occhio pur di non turbare gli equilibri interni del Paese. Oggi, però, perfino una delle più alte cariche dello Stato riconosce che quella deriva morale sta erodendo le fondamenta stesse della democrazia israeliana.

Le parole di Herzog segnano un punto di svolta, o almeno un tentativo di inversione. Perché ammettere la gravità di ciò che accade nei territori significa guardare dentro una ferita profonda, che non può più essere nascosta dietro la retorica della sicurezza o della difesa nazionale.

Non è solo una questione politica, ma una questione etica: cosa resta dell’anima di un popolo fondato sulla memoria della persecuzione, se tollera che alcuni dei suoi figli si trasformino in persecutori?

La guerra a Gaza ha oscurato tutto, ma non può essere un alibi per ciò che accade in Cisgiordania. La violenza dei coloni non protegge Israele, la indebolisce. Alimenta l’odio, isola il Paese sulla scena internazionale, e ne incrina la credibilità come Stato di diritto.

Lo stesso presidente israeliano lo sa: le colonie nate come baluardi si stanno trasformando in focolai di estremismo che minano la coesione civile. È un problema di sicurezza, ma anche di coscienza.

Il passo successivo, però, non può essere solo retorico. Servono atti concreti: arresti, processi, condanne, risarcimenti, e una chiara linea di confine morale tra chi difende Israele e chi, con la violenza, lo tradisce. Perché la giustizia selettiva è la negazione della giustizia stessa.

In un Medio Oriente dove la vendetta sembra sempre più veloce della compassione, le parole di Herzog aprono uno spiraglio di umanità. È fragile, certo, ma prezioso. Riconoscere il male non è un segno di debolezza: è il primo gesto di guarigione.

Israele ha bisogno di questa verità, e anche il mondo ha bisogno di un Israele capace di pronunciarla.

Perché la pace non nascerà mai da chi si crede innocente, ma da chi ha il coraggio di assumersi la propria parte di colpa.