Sotto le bombe, tutti perdono: le vittime innocenti gridano alla pace mentre Israele nasconde le sue ferite
In queste ore drammatiche, segnate da un’escalation militare senza precedenti tra Iran e Israele, una verità emerge tra le macerie e il fumo: a perdere, come sempre, sono gli innocenti. A Teheran come a Tel Aviv, ad Haifa come nei sobborghi di Isfahan, i missili non fanno distinzioni. Colpiscono vite, cancellano speranze, soffocano il futuro. La rappresaglia iraniana, lanciata dopo un attacco israeliano che ha colpito obiettivi militari e civili in territorio sovrano, ha scosso duramente anche lo Stato d’Israele.
Non è solo l’Iran a piangere. Anche Israele, stavolta, le sta prendendo. Missili balistici e droni suicidi hanno superato le difese dell’Iron Dome, colpendo centri strategici a Tiberiade, Haifa, Ashdod, Galilea. Interi quartieri sono senza corrente. Fonti locali parlano di centinaia di feriti, di edifici distrutti, di cittadini intrappolati sotto le macerie. Ma il governo di Tel Aviv ha scelto la via della censura. Oscura le immagini, impone il silenzio, nega l’evidenza.
Secondo informazioni confermate da fonti iraniane e riprese da immagini satellitari, anche sofisticati caccia F-35 — il vanto della superiorità tecnologica israeliana — sono stati abbattuti nei cieli del Medio Oriente. Il governo israeliano tace, nonostante le immagini girino già tra civili e giornalisti. Lo stesso vale per l’impatto delle onde d’urto su impianti energetici e centri militari. Ma la realtà non si cancella. E il dolore, anche se nascosto, grida.
Le vittime innocenti non hanno bandiera. Sono il vero volto della guerra. E di fronte a questo volto sfigurato, l’unica risposta possibile è la pace. Non il fuoco incrociato. Non la vendetta. Non la propaganda.
Come ha ricordato Papa Leone XIV nel suo primo discorso al Corpo Diplomatico, “la guerra è sempre una sconfitta. Anche quando si dice di aver vinto”. Oggi più che mai, queste parole sono luce in un paesaggio oscurato. Il Pontefice ha esortato a “dissodare la terra della giustizia, per seminare riconciliazione”. E questa terra va dissodata subito, prima che sia troppo tardi.
Israele ha diritto a difendersi. Ma non a colpire civili, né a trasformare le ritorsioni in massacri. L’Iran ha diritto alla sua sovranità. Ma la vendetta cieca non è difesa. È riproduzione dell’odio. Il bombardamento di palazzi residenziali a Teheran con 60 morti, tra cui 29 bambini, non può essere giustificato. Così come non può esserlo l’attacco massiccio contro centri abitati israeliani.
L’umanità è la prima vittima. La verità, la seconda.
Oggi non basta invocare la calma. Occorre agire. Occorre che l’ONU intervenga con fermezza, non con appelli generici. Occorre che l’Europa ritrovi una voce chiara, autonoma, ispirata a diritti umani universali e non a calcoli geopolitici. Occorre, soprattutto, che le religioni — tutte — escano dal silenzio e dal sospetto reciproco. Come ha scritto Leone XIV nel suo messaggio per la Giornata della Fraternità Umana: “la fede ci impone di spegnere i focolai d’odio, non di alimentarli”.
La comunità cristiana non può restare neutrale di fronte al sangue dei bambini. Il Vangelo ci chiede di stare dalla parte delle vittime, ovunque esse siano, e di smascherare ogni forma di violenza, anche quella travestita da “difesa preventiva”.
In un tempo di bugie, di silenzi imposti, di informazioni manipolate, Avvenire alza la voce per ciò che conta: la dignità umana. Oggi è il giorno della compassione. Domani dev’essere quello del disarmo.
Perché se è vero — come ci insegna Leone XIV — che “non c’è pace senza verità, né giustizia senza misericordia”, allora è il momento di dire con coraggio: basta missili, basta morti, basta menzogne.
Solo la pace è davvero vittoriosa.
E che si aspettava israele? I petali di rose?