Si avvicina la beatificazione di Padre Bill Atkinson, il primo sacerdote tetraplegico
Nella sua sedia a rotelle, incapace di muovere le mani e le gambe, Padre Bill Atkinson insegnava teologia, celebrava la Messa, consigliava anime giovani. Lo faceva con il sorriso, senza mai compatirsi, con una forza silenziosa che parlava più di mille prediche. Oggi, questo prete americano tetraplegico — il primo ordinato nella Chiesa — è in cammino verso gli altari. Ed è una lezione per tutti: la vera libertà non dipende dal corpo, ma dallo Spirito.
La santità, spesso, passa inosservata. Non urla dai pulpiti né si impone dai profili social. A volte si nasconde in un corridoio di scuola, in una stanza d’ospedale, in una sedia a rotelle che diventa cattedra di Vangelo. Così è stato per Padre Bill Atkinson, religioso agostiniano di Filadelfia, morto nel 2006, oggi Servo di Dio e — si spera — domani beato. Ma già santo, per chi l’ha conosciuto.
Paralizzato dal collo in giù a 19 anni, dopo un incidente in slittino, avrebbe potuto chiudersi in una vita di lamenti. Invece scelse di restare fedele a una chiamata che la sua disabilità non aveva cancellato: diventare sacerdote. Chiese una dispensa a Roma. Papa Paolo VI disse sì. Così, nel 1974, Bill Atkinson divenne il primo prete tetraplegico della storia della Chiesa cattolica.
E da lì cominciò il suo ministero: non nei santuari o nelle cattedrali, ma tra i banchi di scuola, tra adolescenti pieni di domande e fragilità. Insegnava religione e insegnava a vivere. Non poteva scrivere con la mano, ma sapeva incidere sul cuore. Non poteva camminare, ma accompagnava i ragazzi nell’ora più difficile della vita: quella delle scelte.
Chi lo ha conosciuto racconta la sua risata, la sua ironia, la sua accoglienza semplice. Un prete che, senza toccare nessuno, riusciva a toccare tutti. Un uomo che, inchiodato al suo corpo, riusciva a liberare le anime.
La sua santità non si misura nei miracoli (anche se la causa ne ha già raccolti alcuni), ma nel modo con cui ha trasformato la propria croce in una lampada accesa. Padre Bill non ha cercato scorciatoie, né applausi. Ha portato la sua disabilità come si porta un talare: non per farsi notare, ma per servire meglio. Ogni mattina affidava il suo nulla a Dio, e Dio lo trasformava in consolazione per gli altri.
Oggi, la sua causa di beatificazione è un atto di giustizia ecclesiale. Ma soprattutto, è un appello alla nostra epoca: in un mondo che idolatra l’efficienza, il corpo sano, la prestazione perfetta, Padre Bill grida che la dignità è una questione di amore, non di autonomia. Non serve muovere le mani per benedire: basta offrire la propria vita con fiducia. Non serve scalare le vette per arrivare in alto: basta restare fermi nel cuore di Dio.
Ecco perché, nel suo silenzio operoso, Atkinson è uno di quei santi che il mondo non s’aspetta. Uno che non ha fatto rumore, ma ha generato pace. Uno che non ha camminato, ma ha indicato la via.
Un santo del nostro tempo. Un fratello da ascoltare. Un testimone da onorare.