Dopo dodici anni, il successore di Pietro torna nella residenza estiva dei Papi. Un gesto che unisce la tradizione all’ascolto dei tempi e dei territori.

Il ritorno di un Pontefice a Castel Gandolfo non è solo una notizia curiosa, ma un segno. Un gesto che, pur nella semplicità, restituisce profondità a una tradizione antica che Giovanni Paolo II aveva definito con affetto “Vaticano numero 2”, ma che negli ultimi anni era stata sospesa, non senza fraintendimenti.

Il 6 luglio 2025, il Vescovo di Roma ha annunciato il suo trasferimento temporaneo presso le Ville per quindici giorni, con una seconda breve parentesi prevista in agosto. Già lo scorso 29 maggio il Papa aveva compiuto una visita a sorpresa, quasi a voler personalmente saggiarne lo stato. Ora, tutto è pronto.

La scelta è significativa. Castel Gandolfo non è solo un rifugio dal caldo romano — «qui ci sono cinque o sei gradi in meno», ricorda il parroco don Tadeusz Rozmus — ma uno spazio di silenzio e discernimento, dove molti dei suoi predecessori hanno trovato ristoro e ispirazione. Alcune delle pagine più intense del magistero recente sono nate proprio tra i lecci e i giardini del lago di Albano.

Leone XIV ne è ben consapevole. Come ha spiegato all’Angelus di domenica, «la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai»: per essere tali, occorre tornare all’essenziale, rigenerare lo spirito. Castel Gandolfo offre questo. E lo offre non solo a lui: è ormai luogo aperto, grazie alla lungimiranza di Papa Francesco che l’ha trasformato in polo culturale e spirituale, con il Borgo Laudato si’ e i giardini visitabili. Il ritorno di un Papa non cancella questa apertura, anzi, ne è un completamento.

Le residenze papali, oggi, non sono più simboli di potere o di distanza, ma spazi abitati con sobrietà, al servizio della missione pastorale. Anche la scelta di non risiedere nell’appartamento pontificio del Palazzo, ma a Villa Barberini, conferma questa visione: una residenza più discreta, immersa nella natura, simbolo di un papato che vuole tornare all’umano, all’equilibrio, alla vita semplice e attiva.

Non mancheranno, in questi giorni, momenti pubblici: l’Angelus in piazza della Libertà, la Messa del 13 luglio nella chiesa pontificia di San Tommaso da Villanova — massimo duecento i posti disponibili all’interno —, e la celebrazione privata, ma intensa, per la custodia del creato, prevista il 9 luglio.

Castel Gandolfo sarà una casa tra le case, un piccolo laboratorio di fraternità e spiritualità. Il sindaco, Alberto De Angelis, ha parlato di «abbraccio della comunità» e ha assicurato che non ci sarà alcuna “blindatura”. Perché Leone XIV non si ritira dal mondo, ma si raccoglie per meglio servire.

E anche se il Palazzo oggi è un museo, come sottolinea don Rozmus, «non è vero che i Papi hanno sempre soggiornato qui: su una trentina, solo la metà. Ma chi l’ha fatto ha lasciato un’impronta». Leone XIV è tra questi. Ma l’impronta che vuole lasciare non è solo nella storia della cittadina dei Castelli: è nella Chiesa e nel mondo, come segno di un papato che, nel cuore dell’estate, non teme il silenzio. Anzi, lo cerca. Per ripartire con più forza e mitezza, come un contadino che sa riconoscere la messe e prepara la falce con pazienza e speranza.

Castel Gandolfo attende. E il mondo guarda. Con fiducia.