Gli ultimi due mesi hanno mostrato con chiarezza sconcertante quanto la “moratoria” non scritta sulla guerra diretta tra potenze nucleari stia cedendo. Dai cieli del Kashmir alle acque del Golfo Persico, fino alle steppe ucraine, lo scenario internazionale ha assistito a una sequenza di azioni e reazioni che hanno sfidato i presupposti stessi della deterrenza nucleare.

Non più solo guerre per procura o scontri marginali: oggi, capitali di Stati nucleari sono colpite, infrastrutture strategiche vengono sabotate e operazioni militari penetrano nel cuore dei sistemi di allarme precoce dell’avversario.

Il fallimento della logica dell’atomica

Se negli anni della Guerra Fredda la paura della distruzione reciproca garantita manteneva un equilibrio, oggi la corsa alle provocazioni mostra che l’arma atomica non basta a contenere l’aggressività. L’Iran ha colpito Israele nonostante l’arsenale nucleare di quest’ultimo; l’Ucraina ha colpito asset strategici russi in profondità; India e Pakistan hanno scambiato attacchi diretti dentro i propri confini nazionali.

Questa dinamica conferma quanto già Papa Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris (1963), aveva intravisto: la pace non si regge sull’equilibrio delle armi, ma sulla fiducia reciproca, sul rispetto della dignità della persona e sulla giustizia tra le nazioni. E lo ribadisce Leone XIV nei suoi primi interventi: la sicurezza non nasce dalla paura, ma dalla costruzione di un “ordine di relazioni” fondato su verità, giustizia e cooperazione.

La Dottrina Sociale della Chiesa: bussola in tempi di caos

La Gaudium et Spes del Vaticano II ammoniva che “ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o vaste regioni e dei loro abitanti è un crimine contro Dio e contro l’uomo”. Oggi, quando un drone o un missile balistico colpisce un nodo urbano, non cambia la sostanza morale: si colpiscono vite innocenti, si destabilizzano intere comunità, si alimenta la spirale dell’odio.

Francesco, nella Fratelli Tutti, denuncia l’“illusione della dissuasione” e richiama a un disarmo integrale, progressivo ma reale, come strada per “invertire la rotta” di una cultura di morte. Leone XIV ha fatto eco a questa visione, insistendo sulla necessità di piattaforme multilaterali credibili e sul rafforzamento del diritto internazionale, in particolare nel prevenire e mediare crisi ad alto rischio.

La nuova urgenza: de-escalation strutturata

Se la deterrenza non funziona più, resta la diplomazia preventiva e multilaterale. La Chiesa, con la sua rete globale e la sua libertà di parola, può farsi catalizzatore di spazi di dialogo, anche “dietro le quinte”, tra Stati che non hanno più canali diretti di comunicazione. È la logica della diplomazia silenziosa — che ha salvato vite durante la Guerra Fredda — adattata a un mondo di droni ipersonici e cyber-guerra.

Ma la Dottrina Sociale non si limita alla mediazione: chiede che la politica torni a essere arte del bene comune, e non mera gestione di rapporti di forza. Significa investire in meccanismi di fiducia reciproca, nella trasparenza delle manovre militari, nella formazione di opinioni pubbliche capaci di capire che la sicurezza vera non nasce dalla minaccia reciproca, ma dalla collaborazione concreta.

Un monito finale

Oggi, come negli anni più bui del Novecento, siamo di fronte a un bivio. Continuare a nutrire la logica dell’escalation — magari “controllata” solo sulla carta — o avviare un cambio radicale di paradigma. Non è questione di ingenuità, ma di lucidità storica: ogni passo verso il conflitto diretto tra potenze nucleari può essere l’ultimo.

E se la politica internazionale sembra spesso prigioniera di schemi militari, la voce morale delle religioni, e in particolare della Chiesa cattolica, ha il dovere di indicare un’alternativa: una pace “operosa e artigianale”, come la definisce Papa Francesco, che non si costruisce con minacce, ma con incontri, trattati, gesti concreti e verificabili.

Se non ora, quando? Perché la prossima crisi potrebbe non lasciarci il tempo di rispondere.