Il “libro di compleanno” di Jeffrey Epstein, 238 pagine di oscenità, disegni e dediche di amici potenti, riporta alla ribalta Donald Trump: tra collage misogini e firme compromettenti, riaffiorano vecchi comportamenti immorali che intrecciano degrado personale e responsabilità pubblica.
C’è qualcosa di surreale e insieme di profondamente rivelatore nella vicenda del cosiddetto “libro di compleanno” di Jeffrey Epstein, il miliardario pedofilo morto in circostanze mai del tutto chiarite nel 2019. Duecentotrentotto pagine di disegni, dediche, foto e battute di pessimo gusto, raccolte nel 2003 da Ghislaine Maxwell, oggi in carcere per complicità nei suoi crimini. Tra quelle pagine, riemerse in questi giorni grazie a un’inchiesta del Congresso americano, ci sarebbero anche un disegno e una dedica attribuiti a Donald Trump, che nega con forza, parlando di falsificazione.
La vicenda ha riportato alla ribalta l’intreccio di relazioni mondane e politiche che per anni hanno circondato Epstein, con personaggi potenti pronti a prestarsi a giochi di cinismo e degrado. Nel caso di Trump, il materiale apparso nel volume ha un tratto particolarmente inquietante. In una pagina, un collage lo raffigura come colui che “compra una donna totalmente svalutata” con un assegno da 22.500 dollari, un chiaro esempio di umorismo misogino che riduce la dignità femminile a merce. In un’altra, una silouette femminile nuda porta la firma appuntita “Donald”, come fosse una provocatoria appropriazione del corpo altrui.
Non sono episodi isolati. Trump, nel corso degli anni, ha alimentato una lunga lista di comportamenti immorali o quantomeno discutibili. Nel 2005, davanti alle telecamere di Access Hollywood, dichiarava con disarmante leggerezza: «Quando sei una star, le donne te lo lasciano fare. Puoi afferrarle ovunque». Non si trattava di una battuta, ma di un programma di vita mondana spregiudicata che ha segnato la sua reputazione. Diversi procedimenti giudiziari lo hanno poi visto accusato di molestie e aggressioni sessuali, accuse che Trump ha sempre negato, ma che hanno lasciato ombre persistenti.
In questo senso, le pagine del “libro di compleanno” non sono soltanto un reperto di cattivo gusto legato a Epstein, ma rivelano una cultura che per decenni ha trovato accettabile ridere della mercificazione del corpo femminile, normalizzando abusi e violenze. E quando queste battute provengono da uomini che aspirano a governare Paesi e influenzare il destino del mondo, diventano sintomo di una malattia più profonda: l’assenza di responsabilità morale nell’élite.
Il Vangelo ci ricorda: “Nulla vi è di nascosto che non debba essere manifestato” (Lc 8,17). Lo scandalo Epstein è una lente spietata sul lato oscuro del potere, e la vicenda Trump lo conferma: non basta dichiarare “fake” o gridare al complotto, perché ciò che emerge da queste vicende è un mondo che rideva del male mentre il male divorava la vita di adolescenti innocenti.
La vera questione oggi non è soltanto giudiziaria, ma culturale e spirituale: l’America — e con essa l’Occidente — deve decidere se continuare a chiudere gli occhi davanti a una leadership macchiata da comportamenti immorali, o se intraprendere un cammino di purificazione, restituendo dignità alla politica e alla società. Perché la lotta contro lo sfruttamento non si gioca solo nei tribunali, ma anche nella capacità di rigettare modelli di potere che hanno fatto della prepotenza e della derisione la loro cifra morale.