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Mentre Ivan Soltanovsky, ambasciatore russo presso la Santa Sede, concede un’intervista dai toni pacati e diplomatici, lodando il “dialogo rispettoso” con la Santa Sede e la funzione umanitaria del cardinale Zuppi, a migliaia di chilometri dai giardini vaticani, decine di prigionieri di guerra ucraini tornano a casa in bare o con corpi devastati da torture sistematiche.
Nel colloquio pubblicato su Avvenire del 20 luglio 2025, Soltanovsky ripete più volte che la Russia desidera la pace, apprezza l’azione diplomatica del Papa e partecipa agli scambi umanitari. Parla di telefonate con Leone XIV, della missione di Zuppi e delle liste di bambini da restituire. Parole misurate, parole di pace.
Eppure, mentre si afferma che Mosca “non considera nemico il popolo ucraino” e che “non colpisce i civili”, la missione dell’ONU per i diritti umani denuncia 106 casi documentati di prigionieri ucraini torturati e uccisi tra l’agosto 2024 e il maggio 2025. Corpi senza ferite d’arma, ma con organi interni spappolati. Testimonianze di sopravvissuti parlano di sevizie, fame, stupri e umiliazioni. Alcuni, liberati nei recenti scambi, sono morti poche settimane dopo essere tornati a casa.
Si tratta di una contraddizione plateale e moralmente insostenibile: da un lato, l’immagine di una diplomazia “costruttiva” e “aperta al dialogo” con la Santa Sede; dall’altro, le testimonianze raccapriccianti che arrivano dal fronte orientale del continente europeo.
Non si tratta solo di propaganda o deformazione giornalistica. I dati delle Nazioni Unite, le autopsie forensi e le confessioni di soldati russi catturati mostrano un quadro di crimini sistemici, non isolati. A questi si aggiunge la tragedia dei bambini ucraini trasferiti in Russia: mentre l’ambasciatore ne minimizza il numero, le autorità internazionali parlano di migliaia di minori coinvolti in una deportazione silenziosa.
Nel cuore di Roma, il rappresentante del Cremlino ribadisce che “l’Europa non può esistere senza la Russia” e che “la discriminazione della Chiesa ortodossa canonica in Ucraina è inammissibile”. Ma chi tutela i diritti fondamentali dei prigionieri? Chi parla della distruzione sistematica della dignità umana nei campi russi?
Non si nega il valore della diplomazia vaticana, né la buona fede del cardinale Zuppi. Ma è necessario uno scarto critico. La Santa Sede non può essere usata come vetrina morale da un regime che, mentre parla di pace e spiritualità, pratica la tortura e la guerra sporca. Le parole di Leone XIV sulla pace devono restare limpide e forti. E i suoi inviati devono poter dire, senza ambiguità: la verità non può mai essere neutrale quando l’ingiustizia si fa sistema.