La Francia sta vivendo un momento di forte turbolenza politica. La recente dimissione di Sébastien Lecornu, dopo pochi giorni dall’insediamento come Primo Ministro, è solo l’ultimo segnale di quanto l’attuale equilibrio istituzionale sia ormai fragile.  In un Parlamento frammentato, senza una maggioranza stabile, la Quinta Repubblica è messa alla prova più che in passato.

Le radici di questa instabilità sono molteplici, ma convergono su un punto centrale: la perdita di un centro forte e credibile. Il presidente Emmanuel Macron, che ha sciolto l’Assemblea nazionale nel 2024 con la speranza di rafforzare la sua posizione, si ritrova oggi con una camera divisa e ostile, incapace di garantire un programma coerente di governo.  

In un sistema semipresidenziale come quello francese, dove il Presidente ha poteri forti, l’efficacia del governo dipende innanzitutto dall’abilità di costruire alleanze parlamentari. Ma non è un compito facile in un contesto di polarizzazione crescente — con l’estrema destra che avanza, la sinistra divisa e il centro che spesso vacilla — e quando le rivendicazioni sociali, le pressioni economiche e la crisi dei conti pubblici compressi da vincoli europei complicano ogni decisione.  

Un’Europa che trema quando la Francia trema

La crisi francese non ha conseguenze locali soltanto: pesa sul progetto europeo stesso. La Francia è da decenni una delle colonne portanti dell’Unione, sia sul piano strategico che sull’assetto istituzionale. Quando il governo francese vacilla, anche l’impulso europeo si indebolisce.

Sul piano economico, gli effetti sono già tangibili: i mercati reagiscono con nervosismo, i titoli di Stato francesi perdono appeal e la “prima di rischio” (spread) tende ad allargarsi, segno che l’incertezza politica si traduce in costi più alti per il debito pubblico.  Ogni rinvio nell’approvazione del bilancio nazionale ha ripercussioni sulla fiducia degli investitori, sulla spesa e sugli impegni europei.

Politicamente, un’Assemblea svuotata dalle maggioranze rende la Francia meno incisiva nei negoziati con Bruxelles, nei dossier di difesa, di politica estera e di coesione. Se Parigi non è in grado di decidere linee stabili, Bruxelles fatica a fare sistema.

Le implicazioni morali e sociali

La fragilità del governo non è solo un tema istituzionale: ha anche un volto sociale. Quando le classi dirigenti appaiono divise, incerte, incapaci di governare, la disillusione politica cresce. Le proteste sociali — contro tagli, contro riforme, contro disuguaglianze — rischiano di trovare terreno fertile. In Francia già si registrano mobilitazioni sindacali e blocchi contro le politiche d’austerità e le riforme pensionistiche.  In un contesto così, l’estremismo o la retorica populista trovano spazio: è il pericolo che corre ogni democrazia in crisi.

Per la Chiesa e per quanti credono nella dignità della persona e nella fraternità, questa instabilità è un appello urgente: il buon governo non è solo efficienza tecnica, ma garanzia di giustizia, coesione sociale e partecipazione. Non può essere ridotto a lotta fra poteri o a tattiche politiche: deve rispondere al bisogno dei cittadini, soprattutto dei più fragili, di essere rappresentati e tutelati.

Quali vie d’uscita?

Non è facile delineare una soluzione, ma alcune riflessioni paiono imprescindibili:

  1. Riforma del sistema dei partiti e delle coalizioniSe la politica è sempre più polarizzata, occorre che le formazioni centriste ritrovino un ruolo di mediazione credibile. Ma ciò richiede riforme strutturali: limiti ai populismi, incentivi a coalizioni stabili, norme che favoriscano la governabilità.
  2. Dare sostegno alla funzione legislativa e partecipativaUn Parlamento in difficoltà può essere rafforzato con meccanismi di coinvolgimento sociale: commissioni territoriali, ascolto dei corpi intermedi, consultazioni pubbliche più frequenti. Se il legislatore è debole, il governo vacilla.
  3. Riscoprire la politica del bene comuneIn un’epoca in cui la tecnica economica rischia di sovrapporsi al senso morale, è necessario che le scelte pubbliche siano guidate non solo da criteri d’efficienza, ma anche di equità, integrazione e tutela di chi resta indietro.
  4. Equilibrio tra scelte europee e autonomia nazionaleLa Francia ha la responsabilità speciale di costruire una Unione europea che non sia solo mercato, ma casa di popoli che dialogano. Ciò richiede visione, coraggio e coerenza interna: non si può pretendere che la Francia incida in Europa se è paralizzata in patria.

La crisi di governo in Francia è ben più di un tumulto interno: è una ferita che riguarda la democrazia europea. In questi giorni di confusione istituzionale, serve non solo il gesto tecnico del nuovo governo o delle elezioni anticipate, ma un ritorno a quel senso alto della politica che sa parlare al cuore delle persone, ricostruire fiducia, fare promesse credibili e mantenerle. Se la Francia ritrova la stabilità, non sarà solo un sollievo per Parigi: sarà un segnale di speranza per l’Europa.