La giornata del 10 settembre ha riportato migliaia di francesi nelle strade. Blocchi, occupazioni di rotonde, cortei festosi e tensioni con la polizia: la mobilitazione si è espressa in forme diverse, ma tutte accomunate da un sentimento diffuso, quello di non essere ascoltati.

Dalla Bretagna a Lione, da Nantes a Parigi, la piazza si è riempita soprattutto di giovani, di lavoratori precari, di cittadini che vivono sulla loro pelle la fatica di arrivare a fine mese. C’è chi denuncia il caro-vita, chi teme la chiusura della propria fabbrica, chi rifiuta un modello economico che continua a chiedere sacrifici sempre agli stessi. E in controluce, un malessere più profondo: la sensazione che la democrazia francese non riesca più a rappresentare davvero la società.

Il collasso del governo Bayrou e la nomina rapida di un premier vicino al presidente Macron non hanno spento la protesta, anzi l’hanno alimentata. Non è soltanto rabbia sociale: è la percezione di un blocco istituzionale, di un potere che si muove senza tener conto dei cittadini. Non a caso, le rotonde – simbolo della stagione dei gilet gialli – sono tornate a essere luoghi di parola e di confronto.

Tra le voci della mobilitazione si sono levate anche quelle di realtà cristiane giovanili e popolari: il Movimento rurale di gioventù cristiana, i collettivi Anastasis e Lutte et Contemplation. È significativo che proprio loro abbiano scelto di esserci, nel nome del Vangelo, per testimoniare che la giustizia sociale non è una bandiera di parte, ma un’esigenza umana e cristiana. «La democrazia si inaridisce quando non ascolta più i cittadini», hanno detto.

Qui sta il nodo decisivo: ogni società si regge sulla fiducia. Quando questa si incrina, i cittadini cercano altre strade per far sentire la propria voce. Spesso lo fanno in modo pacifico e creativo, talvolta in forme più conflittuali. Ma resta la domanda di fondo: chi governa saprà ascoltare?

Per la Dottrina sociale della Chiesa, la protesta non è mai un valore in sé, ma può diventare un segnale da accogliere: il grido dei poveri, dei giovani senza prospettiva, dei lavoratori schiacciati dalle disuguaglianze è un appello alla conversione delle politiche pubbliche. L’alternativa è l’indifferenza, che apre la strada a nuove fratture sociali e a derive autoritarie.

Il 10 settembre non è stato solo un giorno di collera. È stato, per molti, un giorno di speranza: la speranza che in Francia – e non solo in Francia – la democrazia torni ad essere ciò che deve essere, una casa comune capace di dare voce a tutti.