Bambini geneticamente modificati
La notizia pubblicata dal Wall Street Journal su un presunto progetto della Silicon Valley per la nascita del primo bambino geneticamente modificato è di quelle che costringono a fermarsi. Non solo per l’impatto scientifico, ma per ciò che rivela sul sogno — o incubo — che accompagna l’era tecnologica: la pretesa di correggere la natura in nome del progresso, o meglio, in nome del privilegio.
Secondo l’inchiesta, la startup californiana Preventive starebbe lavorando, con il sostegno di miliardari come Sam Altman (fondatore di OpenAI) e Brian Armstrong (Coinbase), a una sperimentazione di editing genetico su embrioni umani, allo scopo dichiarato di eliminare malattie ereditarie. Un obiettivo nobile, se non fosse che la manipolazione del Dna embrionale è vietata quasi ovunque nel mondo proprio per la sua imprevedibilità e per i rischi etici e biologici che comporta.
Non a caso, dopo la vicenda cinese del 2018 — quando il biologo He Jiankui annunciò la nascita di due gemelle geneticamente “immuni” all’Hiv — la comunità scientifica reagì con orrore. Quelle bambine non sono mai più riapparse, come se il silenzio fosse diventato il vero prezzo del progresso.
Dietro il linguaggio neutro dell’innovazione si nasconde una tentazione antica: l’eugenetica dei ricchi, che torna oggi travestita da filantropia tecnologica. L’idea di “prevenire” malattie può facilmente scivolare nel desiderio di “migliorare” la specie: scegliere il colore degli occhi, la statura, persino il quoziente intellettivo. Il rischio non è solo di manipolare il genoma, ma di manipolare il concetto stesso di umanità, introducendo una distinzione nuova e inquietante: i “figli progettati” e i “figli nati”.
Il genetista Michele Morgante, con lucidità, mette in guardia da un doppio pericolo: quello delle illusioni scientifiche, perché molte malattie genetiche complesse non sono prevenibili neppure con l’editing, e quello delle disuguaglianze, perché queste tecniche — se mai vedranno la luce — saranno riservate a una ristretta élite economica. Una nuova forma di darwinismo sociale in laboratorio.
Il fatto che tutto questo provenga dal cuore della Silicon Valley, la stessa che sogna l’immortalità, la mente artificiale e ora la perfezione genetica, ci obbliga a una domanda radicale: dove finisce la ricerca e dove comincia l’hybris, la tracotanza prometeica?
L’idea di “prevenire il dolore” è nobile. Ma la vita, nella sua fragilità, non è un errore da correggere. È un mistero da accogliere.
Nel mondo che verrà, forse, nasceranno davvero bambini senza difetti. Ma se avranno perso — insieme ai geni “imperfetti” — anche la libertà di essere unici, allora il prezzo sarà troppo alto.
Perché il vero progresso non è creare figli perfetti: è non smettere di amare quelli che già abbiamo, con tutte le loro splendide imperfezioni.
