Le nuove email rivelano più che un sospetto: la fragilità morale del potere che “sa ma tace”
Jeffrey Epstein, il finanziere americano al centro di uno dei più vasti scandali di abusi sessuali su minori tra i potenti del mondo, torna a far tremare la politica USA. Nuove email emerse in queste ore mostrano che Epstein avrebbe scritto nel 2019 che Donald Trump “sapeva delle ragazze”, riferendosi al giro di giovani sfruttate nei suoi ambienti di lusso. La Casa Bianca parla di “attacco orchestrato dai Democratici”, ma le rivelazioni riaprono la questione morale su quanto il potere sapesse e su quanto abbia scelto di tacere.
Le email appena rese pubbliche dai Democratici della Camera americana hanno riaperto una delle ferite più oscure della società statunitense. Jeffrey Epstein, il finanziere morto in circostanze mai del tutto chiarite, scriveva nel 2019 che Donald Trump “sapeva delle ragazze”. In un’altra email, del 2011, menzionava ore trascorse con una giovane donna poi identificata come vittima.
Da Washington, la reazione della Casa Bianca è stata immediata: “una manovra orchestrata da sinistra per infangare il presidente”, ha dichiarato il portavoce. Ma le parole di Epstein, pur non essendo una prova giudiziaria, hanno riacceso un dibattito che va oltre le schermaglie politiche: fino a che punto il potere può fingere di non sapere?
Trump, che sostiene di aver troncato ogni rapporto con Epstein molti anni fa, appare ancora una volta al centro di una tempesta mediatica dove la linea tra verità e propaganda si fa sottile. Il rischio, come sempre, è che la giustizia diventi un terreno di scontro ideologico, più che un cammino di accertamento dei fatti.
Eppure, al di là delle strategie di difesa o delle strumentalizzazioni, il caso Epstein-Trump rimette in discussione un principio elementare: chi è in posizione di responsabilità non può voltarsi dall’altra parte. Sapere e non agire significa, nella sostanza, accettare che il male proliferi nell’ombra.
Le democrazie moderne sembrano ormai assuefatte a questo cortocircuito morale: non serve essere colpevoli, basta essere potenti per sopravvivere alle accuse. E così, tra dossier secretati, versioni contrapposte e campagne di discredito, le vittime restano sullo sfondo — come se il vero scandalo fosse la fuga di notizie, non lo sfruttamento che l’ha generata.
Il potere, quando diventa immune alla verità, si trasforma in un sistema di autoassoluzione permanente. E l’opinione pubblica, se smette di chiedere chiarezza, diventa complice per inerzia.
La vicenda Epstein non riguarda solo gli Stati Uniti. È il simbolo di un’epoca in cui la trasparenza è invocata ma raramente praticata, in cui i potenti si difendono non dimostrando la loro innocenza, ma confondendo le prove.
Resta un monito universale: la libertà politica non esiste senza una morale pubblica.
E la morale, a differenza della propaganda, non si misura nei sondaggi ma nel coraggio di guardare in faccia la verità — anche quando fa tremare i palazzi del potere.
