La canonizzazione di Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, celebrata da Papa Leone XIV questa XXIII Domenica del Tempo Ordinario in una Piazza San Pietro gremita di decine di migliaia di pellegrini, è un evento che segna la storia della Chiesa contemporanea. Non soltanto perché consegna ufficialmente all’altare due giovani che già da tempo erano faro per intere generazioni, ma perché mostra con chiarezza che la santità non è questione di epoca, di ceto, di linguaggio, bensì di cuore che si lascia plasmare dal Vangelo.
Un giovane del Novecento e un adolescente del Duemila
Pier Giorgio Frassati nasce nel 1901, in una Torino in pieno fermento politico e sociale. Figlio di un senatore e direttore de La Stampa, vive in un contesto borghese e privilegiato. Ma il Vangelo lo spinge “verso l’alto”, come scrisse sull’ultima sua foto, trasformando la sua vita in servizio ai poveri, ai malati, agli emarginati. La fede per lui è azione, politica, amicizia, preghiera: una santità incarnata nella città.
Carlo Acutis, nato nel 1991, figlio di una famiglia milanese, cresce nel tempo di internet. Non ha vissuto grandi emergenze sociali o politiche come Frassati, ma ha intuito che il nuovo “luogo” della missione era il web. “L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo” ripeteva, usando un linguaggio semplice e immediato, che ha conquistato i suoi coetanei. La sua “mostra dei miracoli eucaristici” è diventata un’opera di evangelizzazione globale.
Punti di comunione
Papa Leone XIV, nell’omelia, li ha descritti come “due giovani innamorati di Gesù e pronti a donare tutto per Lui”. La loro vita ha avuto un centro comune: l’Eucaristia quotidiana, l’adorazione, la Confessione frequente, la carità silenziosa. Entrambi hanno mostrato che la gioia non nasce dal successo o dal possesso, ma dal dono. In un’epoca segnata dal narcisismo, i due santi insegnano che “la felicità è guardare verso Dio”, come scriveva Carlo, e che “il fondamento della nostra religione è la carità”, come affermava Pier Giorgio.
Differenze che illuminano
Eppure, le differenze non sono secondarie. Frassati incarna il laico impegnato nelle associazioni, nella politica, nelle strade della città industriale del primo Novecento. Acutis invece rappresenta l’apostolo digitale, capace di portare la fede nelle reti globali del XXI secolo. L’uno muore a 24 anni di poliomielite contratta durante una visita ai poveri, l’altro a 15 per una leucemia fulminante. Due vite spezzate presto, ma compiute nel segno dell’amore.
L’attualità della loro testimonianza
In loro la Chiesa oggi riconosce due paradigmi di santità giovanile:
- Frassati ricorda che la fede deve tradursi in impegno sociale e politico, in difesa dei poveri e della dignità umana.
- Acutis mostra che la fede deve abitare i linguaggi e le tecnologie del nostro tempo, senza paura di evangelizzare la rete.
Insieme, sono un antidoto alla cultura dello spreco, che spesso disperde i talenti dei giovani nel consumo o nella rassegnazione. La loro canonizzazione, nel cuore del Giubileo del 2025, è un invito a non sciupare la vita, a farne un capolavoro di amore e di servizio.
Una festa della Chiesa e del mondo
L’entusiasmo dei pellegrini presenti in Piazza San Pietro – famiglie, parrocchie, gruppi giovanili, delegazioni da ogni continente – mostra che la santità non appartiene a una élite, ma è alla portata di tutti. Papa Leone XIV lo ha ribadito con forza: “Tutti noi siamo chiamati a essere santi. Non io, ma Dio – diceva Carlo. Se avrai Dio per centro di ogni tua azione – diceva Pier Giorgio – allora arriverai fino alla fine”.
Sono parole che valgono oggi più che mai. Frassati e Acutis non sono santi del passato, ma del futuro: ci indicano che il cristianesimo ha ancora molto da dire ai giovani e attraverso i giovani.