Crisi diplomatica senza precedenti: Bamako accusa Algeri di aver violato il suo spazio aereo e porta il caso davanti alla Corte internazionale di giustizia.

Nel Sahel, dove il vento del deserto spazza via ogni confine tracciato sulla sabbia, si combatte oggi una guerra silenziosa ma devastante: quella dei droni. Non più solo i gruppi jihadisti o le milizie locali, ma anche gli Stati sovrani si affrontano nei cieli con velivoli senza pilota. E tra questi Stati, due che un tempo si definivano “fratelli rivoluzionari”: il Mali e l’Algeria.

Un drone abbattuto e un’amicizia precipiata

Tutto è cominciato il 31 marzo 2025, quando un drone militare turco Baykar Akıncı, in dotazione all’esercito maliano, è stato abbattuto dall’aviazione algerina.

Per Bamako, il fatto è chiaro: «Il drone è stato colpito all’interno del nostro territorio nazionale. È un atto di aggressione».

Algeri risponde con la stessa fermezza: «Il velivolo aveva violato lo spazio aereo algerino. È stata una risposta legittima di difesa».

Da quel giorno, la crisi si è allargata come una crepa nel deserto.

Il Mali ha presentato un ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, accusando l’Algeria di violazione della sovranità e di “atto ostile”.

Entrambi i Paesi hanno richiamato i propri ambasciatori e chiuso lo spazio aereo reciproco.

Una tensione che rischia di trasformarsi in un fronte permanente, con conseguenze devastanti per l’intera regione saheliana.

Dai patti di Algeri alla frattura di oggi

Il paradosso è che i due Paesi erano un tempo legati da un forte sentimento panafricano e anti-coloniale.

Fu proprio Algeri, nel 2015, a ospitare e garantire l’“Accordo di pace di Algeri” tra il governo di Bamako e i ribelli tuareg del nord.

Ma nel gennaio 2024, la giunta militare maliana ha annunciato la fine unilaterale dell’accordo, accusando l’Algeria di “parzialità” e di “protezionismo verso i gruppi armati”.

Da allora, la fiducia è evaporata.

Dietro la rottura c’è un doppio sospetto:

– Bamako ritiene che l’intelligence algerina mantenga canali aperti con alcune milizie tuareg e islamiste per proteggere i propri confini.

– Algeri, dal canto suo, teme che il Mali — sempre più vicino alla Russia e alla Turchia — stia favorendo una presenza militare straniera che potrebbe minacciare gli equilibri del Maghreb.

Il risultato è un cortocircuito: due Paesi entrambi filorussi, ma rivali sul piano regionale, incapaci di cooperare.

Mosca, che fornisce armi e addestramento a entrambi, osserva in silenzio: il suo interesse è mantenere influenza, anche a costo di alimentare tensioni che le garantiscono spazio politico.

Il doppio volto della “sovranità africana”

Tanto il Mali quanto l’Algeria si presentano oggi come bastioni della sovranità africana contro l’Occidente.

Ma questa retorica, pur comprensibile alla luce delle ingerenze passate, nasconde una contraddizione profonda:

i due governi difendono la propria indipendenza con armi e tecnologie importate da Mosca e Ankara, e combattono una guerra che rischia di ripetere — in chiave moderna — le stesse logiche imperiali che un tempo denunciarono.

Nel Sahel, dove i droni si moltiplicano, la frontiera tra autodifesa e provocazione è sottile.

I modelli militari turchi Bayraktar TB2 e Akıncı, acquistati a caro prezzo dal Mali, sorvolano spesso le aree di confine per sorvegliare le infiltrazioni jihadiste.

Ma per l’Algeria, ogni volo non autorizzato è una violazione, e ogni violazione è un affronto.

Così, il cielo del Sahel è diventato una zona grigia dove il diritto internazionale non arriva e la diplomazia tace.

La gente guarda il cielo, non il futuro

Intanto, sulla terra, la vita continua nella precarietà.

Nella regione di Gao, i contadini raccontano di droni che passano di notte, invisibili ma rumorosi.

«Non sappiamo se sono maliani, algerini o di qualche gruppo armato», dice un catechista locale.

«Sappiamo solo che quando li sentiamo, ci chiudiamo in casa e preghiamo».

È l’immagine di un Sahel sospeso tra tecnologia e paura, dove i popoli non vedono i benefici della “sicurezza”, ma solo il suo prezzo:

villaggi abbandonati, bambini senza scuola, giovani che emigrano verso il nord.

La guerra dei droni, come tutte le guerre “intelligenti”, colpisce soprattutto chi non ha voce.

Dalla fratellanza al sospetto

Il conflitto tra Mali e Algeria non è dunque solo una lite di frontiera.

È il simbolo di un’Africa che si divide proprio mentre cerca di affermarsi.

Entrambi i Paesi cercano autonomia da Parigi e Washington, ma finiscono per guardarsi come nemici.

Entrambi sognano un ordine africano, ma non riescono a costruire fiducia nemmeno tra loro.

Un analista di Bamako lo riassume così: «Il problema non è la Russia o la Francia. È la paura dell’altro. Finché il vicino sarà un sospetto e non un alleato, il Sahel resterà una polveriera».

Il deserto ha sete di pace

Alla fine, la domanda è sempre la stessa: chi paga il prezzo di questa guerra fredda africana?

Non i governi, ma i popoli.

E finché i droni voleranno più in alto della diplomazia, la pace resterà a terra.

Come ci ha rivelato un missionario da Bamako: “Abbiamo bisogno di voci, non di velivoli. La pace non arriva dal cielo, ma dal cuore dei popoli che ancora sanno guardarsi negli occhi.”

Due Paesi fratelli, la stessa lingua della sabbia, la stessa amicizia con Mosca, lo stesso sospetto reciproco.

È la parabola di un’Africa che cerca libertà e trova ancora catene — solo più tecnologiche.